Risurrezione e fede cristiana
Il seme più piccolo della storia
«La fede cristiana — scrive Benedetto XVI in Gesù di Nazaret — sta o cade con la verità della testimonianza secondo cui Cristo è risorto dai morti. Se si toglie questo, si può, certo, raccogliere dalla tradizione cristiana ancora una serie di idee degne di nota su Dio e sull’uomo, sull’essere dell’uomo e sul suo dover essere — una sorta di concezione religiosa del mondo —, ma la fede cristiana è morta». Il messaggio cristiano in questa prospettiva sarebbe abbandonato totalmente alla nostra interpretazione soggettiva e risulterebbe valido solo nella misura in cui ci convince. A questo è stato ridotto oggi il cristianesimo, e non meno dai cristiani che dai laici, volendolo rendere conforme alle esigenze della ragione.
Ma solo se Gesù è risorto «è avvenuto qualcosa di veramente nuovo che cambia il mondo e la situazione dell’uomo». Infatti nella risurrezione di Gesù non si è trattato solo del miracolo di un cadavere rianimato, come nella risurrezione del giovane di Nain, della figlia di Giairo o di Lazzaro: essa ci interesserebbe solo fino a un certo punto. La risurrezione di Gesù — secondo le testimonianze neotestamentarie — è stata invece «l’evasione verso un genere di vita totalmente nuovo, verso una vita non più soggetta alla legge del morire e del divenire, ma posta al di là di ciò — una vita che ha inaugurato una nuova dimensione dell’essere uomini». Non è, dunque, un fatto che appartiene solo al passato: è una «mutazione decisiva», un «salto di qualità» dell’umano. «Nella risurrezione di Gesù è stata raggiunta una nuova possibilità di essere uomini, una possibilità che interessa tutti e apre (...) un nuovo genere di futuro per gli uomini».
Con essa accade un avvenimento che riempie di significato la vita degli uomini, inizia una presenza in cui l’esistere comincia ad avere il suo compimento, anche se tale presenza, «condizione definitiva e differente», si pone ancora «nel bel mezzo del mondo vecchio che continua ad esistere». Si spiega così l’iniziale difficoltà a comprendere dei discepoli. Ma infine essi furono sopraffatti dalla realtà: «è veramente Lui; Egli vive e ci ha parlato, ci ha concesso di toccarlo, anche se non appartiene più al mondo di ciò che è normalmente è toccabile». Una esperienza del tutto incontestabile.
Nei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese, il vecchio Tiresia insegna al giovane Edipo che «essere cieco non è una disgrazia diversa dall’essere vivo», perché nel mondo non accade nulla di significativo, che valga la pena vedere, nulla a cui si possa dare il nome di bene o di male. «Tutte le cose sono un urto, non altro».
La risurrezione di Gesù si pone dentro il mondo come l’evento in cui ogni altro è riscattato dal non senso, trova consistenza e speranza di salvezza. Ma può veramente essere stato così? Possiamo noi moderni dar credito a una testimonianza del genere? Non è in contrasto con la scienza? La risposta del Papa sovverte queste domande: «Può veramente esserci solo ciò che esiste da sempre? Non può esserci la cosa inaspettata, inimmaginabile, la cosa nuova?». È come se sfidasse la ragione dell’uomo ad accogliere la suprema categoria del pensare, cioè l’apertura incondizionata alla realtà e a ogni possibilità: «Se Dio esiste, non può Egli creare anche una dimensione nuova della realtà umana?». E non è la creazione stessa, in fondo, attesa di questa ultima e più alta «mutazione», di questo definitivo «salto di qualità»? Ed essa non attende forse «l’unificazione del finito con l’infinito, l’unificazione tra l’uomo e Dio, il superamento della morte?».
Solo per una ragione in grado di aprirsi veramente — disponibile a riconoscere anche ciò che non aveva previsto né poteva prevedere — si compie la sua più intima attesa di un significato esauriente dell’esistenza. Certo, la risurrezione di Gesù è entrata nel mondo come qualcosa di «poco appariscente»: a prima vista, «è il seme più piccolo della storia». Reca tuttavia in sé le potenzialità infinite di Dio. E si giova della forza convincente della testimonianza cristiana che, con «coraggio assolutamente nuovo», dopo duemila anni si ripete: in essa albeggia quella condizione umana «definitiva e differente» iniziata nel Risorto. Così la risurrezione del Signore accade oggi.
© L'Osservatore Romano 23 luglio 2011