sabato 6 agosto 2011

La Trasfigurazione da Pietro Crisologo a Raffaello "L’amore desidera vedere ciò che ama" (Timothy Verdon)



La Trasfigurazione da Pietro Crisologo a Raffaello

L’amore desidera vedere ciò che ama

I discepoli raffigurati nella parte inferiore del dipinto dell’urbinate
sembrano aver già capito l’importanza della centralità della preghiera

di Timothy Verdon

Più di ogni altra cosa, l’essere umano vuole vedere Dio. Tale innata aspirazione viene poi intensificata nei credenti dall’amore, come afferma san Pietro Crisologo in una pagina dal sapore quasi platonico: «L’amore genera il desiderio, aumenta d’ardore e l’ardore tende al velato». E spiega: «L’amore non può trattenersi dal “vedere” ciò che ama; per questo tutti i santi stimarono ben poco ciò che avevano ottenuto, se non arrivavano a vedere Dio. Perciò l’amore che brama vedere Dio, benché non abbia discrezione, ha tuttavia ardore di pietà. Perciò Mosè arriva a dire: “Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, fammi vedere il tuo volto”» (Sermones, 147, Patrologia Latina 52, 594-95).

Nella festa della Trasfigurazione, ricordiamo che tale ardente brama viene perfettamente soddisfatta in Cristo, come egli stesso conferma dicendo: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Giovanni, 14, 9). Chi guarda con fede Cristo vede Dio cioè, e ancora Bonaventura descrive la gioia che ne consegue, caratterizzando il Salvatore come «la via e la porta (...) la scala e il veicolo (...) il propiziatorio collocato sopra l’arca di Dio». Dice che «chi si rivolge a questo propiziatorio con dedizione assoluta, e fissa lo sguardo sul crocifisso Signore mediante la fede, la speranza, la carità, la devozione, l’ammirazione, l’esultanza, la stima, la lode e il giubilo del cuore, fa con lui la Pasqua, cioè il passaggio ». Specifica infine le condizioni necessarie per «passare» dalla mera visione dell’uomo Gesù alla contemplazione, in lui crocifisso, del volto di Dio: «Perché questo passaggio sia perfetto, è necessario che, sospesa l’attività intellettuale, ogni affetto del cuore sia integralmente trasformato e trasferito in Dio. È questo un fatto mistico e straordinario che nessuno conosce se non chi lo riceve. Lo riceve solo chi lo desidera, non lo desidera se non colui che viene infiammato dal fuoco dello Spirito Santo, che Cristo ha portato in terra» (Itinerario della mente in Dio, 7).

La contemplativa per antonomasia è allora Maria, che, pura di cuore sin dalla concezione, vide Dio in se stessa appunto come Vita. Un artista del primo Cinquecento, Piero di Cosimo, la raffigura in questi precisi termini, come contemplativa dal volto estatico che, pregando, concepisce colui che è la Vita, Cristo. Che si tratti del concepimento di Cristo è indubbio, perché la formula iconografica normalmente usata per questo momento — la scena dell’Annunciazione — è infatti «scolpita» sulla base del piedistallo di Maria, e vi è inoltre un libro aperto per terra davanti al piedistallo (allusione al Verbo che si fa carne nel grembo di Maria, a cui del resto l’artista chiama l’attenzione posando la destra della Vergine sul suo ventre). Ma Piero di Cosimo focalizza l’attenzione soprattutto sul giubilo mistico con cui Maria accoglie lo Spirito, così traducendo l’evento storico in avvenimento interiore, come erano soliti fare i padri della Chiesa. Occorre custodire la verità di Cristo nella mente per poi concepire il Salvatore nel cuore: ecco altre caratterizzazioni dell’orazione contemplativa. Parlando di questo tipo d’esperienza, san Giovanni Crisostomo insegna che: «la preghiera o dialogo con Dio è un bene sommo. È, infatti, una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l’anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera (...) L’anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo, abbraccia il Signore (...) come il bambino, che piangendo, grida alla madre, l’anima cerca ardentemente il latte divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni superiori a ogni essere visibile. La preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a Dio, e nel medesimo tempo rende felice l’anima perché appaga le sue aspirazioni» (Omelia VI sulle Beatitudini, Patrologia Graeca, 44, 1263-1266).

Servendoci della terminologia del Crisostomo, possiamo dire che, se in Maria è perfezionata la capacità umana di ardere di desideri celesti, in Cristo suo Figlio tale capacità ha la sua fonte.

È Cristo a volerci contemplativi, cioè: Cristo che ci ha fatto conoscere il nome del Padre suo e che ce lo fa conoscere sempre più abbondantemente, perché l’amore con cui Questi ha amato Cristo sia in noi e con esso anche Cristo sia in noi (Giovanni, 17, 26).

La comunione tra Padre e Figlio e la volontà di Cristo che la sua gloria sia contemplata dai discepoli traspaiono in un preciso evento neotestamentario, la Trasfigurazione, il massimo episodio di orazione descritta nei vangeli prima dell’orto di Getsemani. Avvenne otto giorni dopo l’annuncio da parte del Salvatore della passione e la misteriosa assicurazione che alcuni tra gli ascoltatori non sarebbero morti «prima d’aver visto il regno di Dio» (Luca, 9, 23-27). Allora «Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosé ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano dell’esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma quando si svegliarono videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: “Maestro è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè, una per Elia”. Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con parlava la sua ombra. All’entrare nella nube ebbero paura. E dalla nube uscì una voce che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”» (Luca, 9, 28-35).

La più celebre raffigurazione di questo evento è la grande pala iniziata da Raffaello Sanzio e ultimata da collaboratori dopo la morte del maestro nel 1520. Nella zona alta, eseguita interamente da Raffaello, Cristo è rappresentato in preghiera estatica, con le mani alzate nel gesto antico, che qui allude anche alla croce annunciata otto giorni prima; appare poi tra Mosé ed Elia, rappresentanti della Legge e dei Profeti, con le vesti e il volto trasfigurati. Il Salvatore cambia d’aspetto — viene «trasfigurato» cioè — perché, mentre interroga l’antica legislazione e la tradizione profetica d’Israele, comprende che davvero il messia dovrà soffrire e morire: il racconto lucano dell’evento specifica l’argomento della conversazione dei tre, «l’esodo che stava per compiersi a Gerusalemme», cioè la morte di Gesù. La sua preghiera consiste in un atto d’interiore accettazione, ed è allora che dalla nube risuona la voce del Padre che lo riconosce come l’amato Figlio. Nella parte inferiore della composizione di Raffaello viene illustrato invece l’episodio neotestamentario che segue la Trasfigurazione, la guarigione di un ragazzo epilettico. Il padre del giovinetto l’aveva condotto ai discepoli di Gesù, chiedendo che scacciassero il demonio che sin dall’infanzia aveva tormentato il ragazzo, rischiando di ucciderlo, ma i discepoli non ne erano capaci: è la scena illustrata nel dipinto, con a destra il giovane tenuto dal padre e i discepoli gesticolanti a sinistra. Sceso dal monte, Gesù guarirà il ragazzo e lo restituirà al padre, dopo essersi indignato per l’incredulità dei suoi discepoli, che non erano stati capaci di compiere il miracolo (Luca, 9, 41); così anche nella versione di Matteo, dove, quando i discepoli gli domandano perché essi non erano stati in grado di compiere la guarigione, risponde: «Per la vostra poca fede» (Matteo , 17, 20a). Nel vangelo di Marco, invece, alla stessa domanda Cristo risponde che «questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera » (Marco , 9, 29).

Nel dipinto di Raffaello i discepoli nella parte inferiore della composizione sembrano aver già capito questa centralità della preghiera, e mentre alcuni di essi indicano il ragazzo altri portano l’attenzione sul monte, dove il Salvatore viene trasfigurato mentre prega in preparazione all’atto d’orazione supremo, il sacrificio vespertino del Calvario.
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di Marco Agostini:
Il quadro più bello del mondo. La "Trasfigurazione" è l'ultima opera dipinta da Raffaello prima di morire.

© L'Osservatore Romano 6 agosto 2011