domenica 28 agosto 2011

Pietro in visita a Madrid nella dimora del diacono Lorenzo "Il fuoco nascosto dell’Escorial" di Marco Agostini



Pietro in visita a Madrid nella dimora del diacono Lorenzo

Il fuoco nascosto dell’Escorial


di Marco Agostini

Se le finestre della facciata occidentale sono aperte, lo sguardo viene rapito in alto. La compatta trama del granito lascia affiorare le forme e i colori della biblioteca affrescata. Le volte a botte della basilica sono coperte di dipinti. Il granito grigio delle navate nelle volte abbandona il suo aspetto austero e mostra immagini di paradiso.

Il monastero dell’Escorial è un luogo straordinariamente bello, paesaggisticamente collocato in un bel posto; né tetro né incombente come irragionevolmente talvolta lo si descrive, austero sì, ma non cupo o triste. Il visitatore ne ha netta impressione. Anche della figura del suo artefice, il re di Spagna Filippo II (1527-1598), la recente storiografia offre un profilo diverso da quello tratteggiato nei decenni scorsi da certa manualistica o cinematografia. Bisogna vedere per credere.


Può accadere di trovarsi innanzi alla facciata ovest, la principale, del Real Monastero di San Lorenzo di El Escorial, nel momento in cui le finestre, al di sotto del fregio che ripartisce in due il monumentale ingresso, sono spalancate. Lo sguardo è rapito in alto dalla meraviglia: la compatta trama del granito grigiobruno dell’edificio s’allenta e lascia affiorare le forme e i colori della volta della biblioteca affrescata da Pellegrino Tibaldi (1527-1596). Filippo II che, tra il 1563 e il 1594, fece costruire da Juan de Herrera questo monastero-reggia dedicato al martire Lorenzo come luogo di preghiera, di studio, di vita ritirata e di governo, volle la biblioteca — che secondo il suo desiderio doveva raccogliere tutto il sapere del tempo — proprio all’ingresso.

Varcata la soglia, dalla penombra del vestibolo gli occhi cercano subito un’altra porta e, dilagando per l’assolato patio de los Reyes popolato di giovani monache e suore, la trovano sotto il portico dell’imponente facciata manierista della basilica compresa tra due torri. Sembra una metafora di ciò che il Papa di lì a poco dirà, all’interno della chiesa, citando il Parmenide di Platone: «Cerca la verità fin che sei giovane, perché se non lo farai, poi ti scapperà dalle mani». Cerca la verità fin da subito, desiderane l’adito! Oltrepassato anche questo secondo ingresso ai piedi della grande scalinata appare la meta, il punto d’approdo della ricerca: lì lo sguardo è di nuovo attratto in alto, al cuore del monastero. La perfetta assialità delle porte conduce al cuore; in vista di quel fuoco è costruito l’Escorial e serenamente si sviluppa in modo logico e simmetrico. L’iconografia dell’edificio ha la forma della graticola, lo strumento di passione del diacono Lorenzo. Oltrepassare tali soglie senza distrazione consente di percepire che in chiesa si arriva passando per la biblioteca: all’altare al tabernacolo si va per la dolce, e pur sempre faticosa ascesi dell’ascesa, della ricerca della verità, dello studio. Ciò era chiaro nella Spagna del siglo de oro «dove l’accurato studio del pensiero teologico e giuridico, ed il suo intimo rapporto con la scienza e con le arti dell’epoca, nelle sue espressioni più belle, trovava la propria ispirazione ed un atteggiamento intellettuale e spirituale caratterizzato dall’umiltà di ricercare Dio, più concretamente nell’adorazione di Gesù Cristo Sacramentato» e nella Messa (Antonio María Rouco Varela).

Le parole vere che a El Escorial si odono hanno la forza dei secoli: appaiono esse stesse accadimenti o monumento soprattutto alla presenza di Benedetto XVI, primo Pontefice in visita al monastero, il 19 agosto 2011. Il Papa ha parlato dell’edificio come di una «eloquente testimonianza nei secoli di una vita di preghiera e di studio. In questo luogo emblematico, ragione e fede si sono fuse armoniosamente nell’austera pietra per modellare uno dei monumenti più rinomati della Spagna». Ragione e fede all’Escorial sono di casa, anzi, sono diventate casa: biblioteca e chiesa, progetto culturale vergato nel granito e da cinquecento anni. I giovani docenti universitari qui raccolti hanno applaudito a lungo, soprattutto dopo quest’intenso passaggio: «È doveroso tenere in mente che il cammino verso la verità piena impegna anche l’intero essere umano: è un cammino dell’intelligenza e dell’amore, della ragione e della fede. Non possiamo avanzare nella conoscenza di qualcosa se non ci muove l’amore, e neppure possiamo amare qualcosa nella quale non vediamo razionalità, dato che “Non c’è l’intelligenza e poi l’amore: ci sono l’amore ricco di intelligenza e l’intelligenza piena di amore” (Caritas in veritate, 30). Se verità e bene sono uniti, così lo sono anche conoscenza e amore».

Il Papa ha pronunciato queste parole mentre i giovani professori, che gremivano la navata mediana nelle loro variopinte toghe, avevano innanzi agli occhi l’immensa macchina d’immagini dell’altar maggiore alla cui realizzazione si pose mano a partire dal 1576. Vedevano l’altare con il tabernacolo, e il diacono Lorenzo vincere le fiamme con l’ardore amoroso della verità. La preziosità dei marmi, lo splendore dei dipinti, l’oro dei bronzi, tutto è a corona del tabernacolo dalle porte di cristallo che custodisce el Amor de los Amores come canta un popolare inno spagnolo. Ancora innanzi a quell’Amore Carlo V, Filippo II e i loro dignitari stanno inginocchiati dai loro cenotafi, da secoli.

La policromia dei marmi e delle pietre dure del retablo allude simbolicamente alle virtù teologali della Fede, della Speranza e della Carità. Il progetto di Juan de Herrera fu realizzato da Jacopo Nizzola detto Jacopo da Trezzo (1515-1589), Juan Bautista Comane, Leone e Pompeo Leoni (1509-1590; 1533-1608). Organizzato orizzontalmente in tre registri, secondo la classica sovrapposizione degli ordini, il retablo è coronato da un’edicola di stile composito. Nel primo registro, che potremmo chiamare dell’adorazione o della Fede, ai lati del tabernacolo si vede l’Adorazione dei Pastori e l’Adorazione dei Magi di Tibaldi. Nel secondo registro, del martirio o della Carità, riconosciamo la Flagellazione di Cristo di Federico Zuccari (1542-1609), il centrale Martirio di S. Lorenzo di Tibaldi, e Gesù sale il Calvario carico della croce di Zuccari. Infine, nel registro della gloria o della Speranza, contempliamo la Risurrezione di Cristo, l’Assunzione della Vergine, la Pentecoste ancora dello Zuccari. Alla sommità sta il gruppo bronzeo del Calvario dei Leoni in diretto rapporto con l’altare e con quanto su di esso si rinnova nella Messa. Ai lati del retablo sono disposti i bronzi, sempre dei Leoni, raffiguranti gli evangelisti, i dottori della Chiesa e i santi apostoli Giacomo, Andrea, Pietro e Paolo.

Cuore del retablo, della Basilica e dell’intero monastero, è il tabernacolo disegnato da de Herrera e realizzato da Jacopo da Trezzo (finito nel 1586). Una custodia, di quattro metri d’altezza, che ha la pianta centrale e la forma cilindrica di un tempio classico con tamburo e cupola provvista di lanterna. Il tabernacolo è cinto alla base da otto colonne corinzie di diaspro rosso con trabeazione ornata da otto statue bronzee degli apostoli, le altre quattro sono albergate nelle nicchie della thòlos. Le porte del tabernacolo sono di cristallo semicircolare e consentono la visione dell’Ostia dalla navata della basilica, dalle stanze di Filippo II, dove il re trascorse l’ultima parte della sua vita e morì, dell’infanta Isabel Clara Eugenia e dagli appartamenti reali attorno al patio de los Mascarones. Ai lati del presbiterio, entro architetture disegnate da de Herrera, nello stile e nella materia del retablo, i gruppi oranti dell’imperatore Carlo V, in cornu evangeli, e di Filippo II, in cornu epistolae, capolavori in bronzo di Pompeo Leoni, fungono da cenotafi e si configurano come perfetta dilatazione del registro dell’adorazione.

La direzione ascensionale a oriente ai piedi del presbiterio riceve un’improvvisa accelerazione e da orizzontale si fa verticale. Cuore e sguardo salgono veloci i gradini ad altare Dei e passando per il tabernacolo che custodisce il Corpus Domini, s’innalza allo scomparto con il tormento del corpo di Lorenzo e a quello col corpo assunto della Vergine, per riposarsi nella serenità del corpo crocifisso di Cristo coronato di spine, che elevato da terra attira a se tutti con i Sacramenti sgorgati dal suo fianco. Ma lo sguardo è attirato ancora più in su, fino al cielo, alla volta del presbiterio dove l’affresco di Luca Cambiaso (1527-1585) mostra la Trinità che incorona Maria regina. È allora che ci si accorge che le volte a botte della basilica sono letteralmente coperte di affreschi. Le superfici murarie in granito grigio-bruno delle navate scandite da pilastri poligonali movimentati da paraste doriche, nelle volte abbandonano il loro austero aspetto e squadernano visioni di paradiso. Il programma frescale delle volte della navata maggiore pur mostrandoci qualcosa della vita eterna futura, tuttavia, ci restituisce al presente all’ingresso: il Dono della manna di Luca Giordano nel bema, la Resurrezione dei corpi per il giudizio finale di Luca Giordano (1636-1705) nella nave centrale, il Paradiso di Cambiaso nel coro sovrastante la porta maggiore.

Il pellegrinare terreno dell’uomo che cerca ragionevolmente la verità, trova nella fede l’autentica possibilità di poterla raggiungere, nell’Eucaristia di poterla mangiare e adorare. All’Escorial questa stima dell’intelligenza per la fede è ben visibile. Il «farmaco d’immortalità» (sant’Ireneo) ricevuto con fede rende forti nell’amore e nella testimonianza, nella carità dell’intelligenza, come il diacono Lorenzo e fino al martirio, prepara i corpi per la gloria come è avvenuto per Maria, mostra la piena regalità di Cristo che regna in alto dalla croce. Ragione e fede c’innalzano al cielo e in pari tempo ci restituiscono con piena coscienza alla terra giacché fides quaerens intellectum (Anselmo d’Aosta). Tutto questo lo ha appena detto un giovane professore di storia medievale nel suo commovente indirizzo di saluto al Santo Padre: «Non pochi di noi qui riuniti hanno vissuto un’esperienza personale di conversione a Cristo in cui la ragione e la conoscenza sono state un aiuto efficace all’azione della grazia e non il contrario; possiamo così annunciare il Vangelo ed essere fermento di comunità che vivono in armonia e con reciproco amore la fede, sempre unita alla ricerca della verità nel campo del sapere umano».

© L'Osservatore Romano 28 agosto 2011