sabato 9 ottobre 2010

L'obiettivo è guardarlo negli occhi, di Timothy Verdon



In un quadro del Cinquecento la sintesi della vocazione umana alla contemplazione

L'obiettivo
è guardarlo negli occhi

di Timothy Verdon

La contemplazione di Dio nel mistero di Cristo non costituisce solo il fine dell'esistenza umana, ma anche il suo inizio. Così come Dio l'ha creato, l'uomo infatti è un contemplativo, e non a caso l'Adamo immaginato da Michelangelo nella Sistina attende dal Creatore il contatto vitale mentre lo guarda negli occhi. Va tuttavia ricordato che questo è l'uomo prima del peccato; dopo non avrà più tanto coraggio, e infatti quando il peccatore Adamo sente i passi di Dio nel giardino, insieme a Eva fugge "dalla presenza del Signore tra gli alberi" (Genesi, 3, 8); solo dopo la redenzione spererà nuovamente di vedere faccia a faccia il Creatore.

Tale aspirazione è una conseguenza della gratitudine che la salvezza suscita nell'essere umano, come afferma san Pietro Crisologo in una pagina dal sapore quasi platonico: "L'amore genera il desiderio, aumenta d'ardore e l'ardore tende al velato", dice. E spiega: "L'amore non può trattenersi dal vedere ciò che ama; per questo tutti i santi stimarono ben poco ciò che avevano ottenuto, se non arrivavano a vedere Dio" (Sermones, 147).

Tale ardente brama viene soddisfatta in Cristo, come egli stesso conferma dicendo: "Chi ha visto me, ha visto il Padre" (Giovanni, 14, 9). Chi guarda con fede Cristo vede Dio cioè, e ancora san Bonaventura descrive la gioia che ne consegue, caratterizzando il Salvatore come "la via e la porta (...) la scala e il veicolo (...) il propiziatorio collocato sopra l'arca di Dio". Specifica infine le condizioni necessarie per "passare" dalla mera visione dell'uomo Gesù alla contemplazione, in lui crocifisso, del volto di Dio: "Perché questo passaggio sia perfetto, è necessario che, sospesa l'attività intellettuale, ogni affetto del cuore sia integralmente trasformato e trasferito in Dio. È questo un fatto mistico e straordinario che nessuno conosce se non chi lo riceve. Lo riceve solo chi lo desidera, non lo desidera se non colui che viene infiammato dal fuoco dello Spirito Santo, che Cristo ha portato in terra" (Itinerario della mente in Dio, 7).

Ora lo Spirito portato in terra da Cristo conduce prima alla conversione e poi alla santificazione. Afferma san Gregorio Nisseno: "Dio (...) è proposto alla contemplazione di coloro che hanno purificato il loro cuore. Ma "Dio nessuno l'ha mai visto", come afferma il grande Giovanni (1, 18). Paolo con la sua sublime intelligenza conferma e aggiunge: "Nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né lo può vedere" (1 Timoteo, 6, 16)". San Gregorio caratterizza l'impedimento dei peccatori nel vedere Dio come una montagna impossibile a scalare: "Questa è quella roccia liscia, sdrucciolevole e ripida, che non offre in se stessa alcun appoggio o sostegno per i concetti della nostra intelligenza. Anche Mosè nelle sue affermazioni l'ha detta impraticabile in modo che la nostra mente non vi può mai accedere, per quanto si sforzi di aggrapparsi a qualcosa e guadagnare la cima".


Notiamo che l'Adamo di Michelangelo quasi illustra questo concetto: vede Dio ma rischia di scivolare dal terreno inclinato su cui poggia precariamente, sostenendosi con la gamba sinistra piegata e il gomito destro. E conclude Gregorio di Nissa pensando all'uomo salvato in Cristo: "Ma vedere Dio costituisce la vita eterna. Se Dio è vita, chi non vede Dio non vede la vita".

Vedere Dio costituisce la vita eterna. La contemplativa per antonomasia è allora Maria, che, pura di cuore sin dalla concezione, vide Dio in se stessa appunto come vita. Un artista del primo Cinquecento, Piero di Cosimo, la raffigura in questi precisi termini, come contemplativa dal volto estatico che, pregando, concepisce colui che è la vita, Cristo. Che si tratti del concepimento di Cristo è indubbio, perché la formula iconografica normalmente usata per questo momento - la scena dell'Annunciazione - è infatti "scolpita" sulla base del piedistallo di Maria, e vi è inoltre un libro aperto per terra davanti al piedistallo (allusione al Verbo che si fa carne nel grembo di Maria, a cui del resto l'artista chiama l'attenzione posando la destra della Vergine sul suo ventre).

Ma Piero di Cosimo focalizza l'attenzione soprattutto sul giubilo mistico con cui Maria accoglie lo Spirito, così traducendo l'evento storico in avvenimento interiore, come erano soliti fare i padri della Chiesa.

Custodire la verità di Cristo nella mente per poi concepire il Salvatore nel cuore: ecco altre caratterizzazioni dell'orazione contemplativa.

Parlando di questo tipo d'esperienza, san Giovanni Crisostomo nella sua Omelia sulla preghiera insegna che: "la preghiera o dialogo con Dio è un bene sommo. È, infatti, una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l'anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera (...) L'anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo, abbraccia il Signore (...) come il bambino, che piangendo, grida alla madre, l'anima cerca ardentemente il latte divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni superiori a ogni essere visibile. La preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a Dio, e nel medesimo tempo rende felice l'anima perché appaga le sue aspirazioni (...). Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l'Apostolo dice: Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito Santo intercede per noi con gemiti inesprimibili (cfr. Romani, 8, 26b). Se il Signore dà a qualcuno tale modo di pregare, è una ricchezza da valorizzare, è un cibo celeste che sazia l'anima; chi l'ha gustato si accende di desiderio celeste per il Signore, come di un fuoco ardentissimo che infiamma la sua anima".

(©L'Osservatore Romano - 10 ottobre 2010)