Domenica a Parma la beatificazione di Anna Maria Adorni
Testimone di carità per il riscatto delle donne
di Guglielmo Camera
Saveriano, postulatore della causa di canonizzazione
La diocesi di Parma e il paese nativo Fivizzano (Massa Carrara), stanno preparandosi a onorare Anna Maria Adorni, sposa, madre, vedova e religiosa dell'Ottocento, che viene beatificata dall'arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, in rappresentanza di Benedetto XVI, domenica 3 ottobre, nella cattedrale emiliana.
Considerata madre degli emarginati, degli sfruttati, di quanti sono soggetti a nuove forme di schiavitù e in particolare dei carcerati e delle donne offese nella loro dignità umana, era nata il 19 giugno 1805. Avviata ai lavori femminili, alla morte del padre nel 1820, con la madre dovette emigrare a Parma, dove passò il resto della vita. Fu accolta in una nobile famiglia come "istitutrice". Mentre pensava di abbracciare la vita monastica tra le cappuccine, in ossequio alla madre che si opponeva, nel 1826 sposò un addetto alla Casa ducale, Domenico Botti, a cui diede sei figli, tutti morti in tenera età. A eccezione di Leopoldo, che poi abbracciò la vita monastica nell'ordine benedettino, morto anch'egli prima di lei. Nel 1844, alla morte del marito, per consiglio del confessore intraprese un cammino di carità a sollievo delle carcerate.
Molte donne, attratte dal suo esempio, la imitarono, dando inizio a un'associazione caritativa. Sollecita anche verso le donne dimesse dal carcere, Anna Maria prese in affitto una casa per loro e per le fanciulle a rischio e le orfane. Tale opera prese ispirazione e il nome da Gesù Buon Pastore. Per provvedere in maniera più idonea all'opera iniziata, pensò di fondare una famiglia religiosa, i cui membri alimentassero quella fiamma di carità che lo Spirito Santo aveva acceso nel suo cuore. Pose le fondamenta del nuovo Istituto nel 1857 con otto compagne, che si affidarono totalmente al Signore con i voti privati di castità, obbedienza e povertà e con un nuovo saldissimo voto di offrire la vita al recupero delle donne cadute, alla tutela di quelle in pericolo, alla materna assistenza delle derelitte e delle orfane. Si chiamarano e si considerarono Ancelle dell'Immacolata. Colpita da paralisi di breve durata, morì il 7 febbraio 1893 a Parma in fama di santità.
Ingresso delle Carceri di Parma all’epoca della Madre. |
Quale messaggio possiamo cogliere dalla sua vita? Emerge con prepotenza un dato: ella dimostra di credere veramente a una presenza di Dio in lei. In ogni momento della sua esistenza ella si riferirà a Lui, cercherà sempre di capire cosa Dio vuole da lei. E questo anche attraverso mediazioni molto ordinarie: la mamma e il suo confessore. Ascolta, si consiglia, prega. Accetta prospettive che non erano nei suoi piani: invece di consacrarsi in monastero diventa sposa. Nella fedeltà e nell'amore coniugale, accetta dal Signore il dono di tante vite e vive da madre attenta e amorosa. È colpita da numerosi lutti familiari eppure non dispera. Si fida di Dio, che dà senso a tutto. Dopo tante lotte e incomprensioni legate alle sue opere, viene spontaneo accostare l'esperienza spirituale dell'Adorni con quella di Paolo: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo"?
Alla morte del marito Anna Maria accetta il suggerimento del confessore di diventare strumento della bontà, provvidenza, "maternità" di Dio per un gran numero di sorelle infelici, rifiutate dalla società, carcerate. Ogni giorno si reca in visita alle detenute, le istruisce, le ama. "Il mio cuore restò sopraffatto di dolore; non mi reggevano più le forze nel vedere perire tante belle creature fatte a immagine dello stesso Creatore". Al suo cuore di mamma non sfuggono le bambine abbandonate che passavano le giornate al margine della strada. Non teme le fatiche, le ristrettezze economiche, vince le chiusure e l'indifferenza per un'opera allora tanto nuova e provocatoria. Fa il possibile per ridare dignità, fiducia e speranza a quelle povere creature.
La Adorni offre anche un metodo per il suo apostolato. Lei e le sue collaboratrici, andando in carcere, devono "avvicinare con piacevole amorevolezza le carcerate e studiarne le loro inclinazioni con destrezza cristiana; così ordinariamente si guadagna il loro cuore. Ottenuta che abbiamo la loro affezione congiunta a una vera stima, tosto ravvisano il pericoloso loro stato". La sua opera non si limita a interventi superficiali, ma affronta il problema alle radici con una valida programmazione di prevenzione. Non indulge all'assistenzialismo; cresce in lei la consapevolezza di un processo di rieducazione dignitosa e di riscatto attraverso il lavoro e il reinserimento sociale. Vive con loro in piena solidarietà e condivisone anche dei mezzi di sussistenza. I suoi gesti caritativi sono preceduti da lunghi momenti dinanzi a Gesù Eucaristia, di cui ha grandissima devozione.
C'è un testimone privilegiato che ha conosciuto Anna Maria e da cui si recava frequentemente per averne consiglio: il beato Guido Maria Conforti, vescovo di Parma e fondatore dei missionari saveriani. Rivolgendosi alle eredi spirituali della Adorni, le ancelle dell'Immacolata, scriveva: "Aveva una pietà serafica che si accentuava accostandosi al banchetto eucaristico, e io stesso, che più volte la comunicai, vidi il suo volto quasi trasfigurarsi, prendendo un aspetto estatico; qualche cosa di celestiale era in lei. La sua carità era senza limiti, brillava anche nel luogo più buio dell'espiazione, privo della luce di verità. Dalle tetre carceri dove anime derelitte ricevano da quell'angelo la parola di conforto, della rassegnazione, della pace, si estendeva nei miseri tuguri, ove il povero trovava in lei soccorso, refrigerio alle sue pene; al letto degli infermi ai quali prestava, con materna carità, tutte quelle cure fisiche e morali richieste dalle necessità di ciascuno".
(©L'Osservatore Romano - 2 ottobre 2010)