A colloquio con il patriarca Antonios Naguib, relatore generale del sinodo
Nuova energia
per i cristiani in Medio Oriente
di Mario Ponzi
Paura, disperazione, solitudine, timidezza sono parole cancellate dal vocabolario delle Chiese cattoliche in Medio Oriente. Coraggio, speranza, comunione, testimonianza sono invece parole riscritte in grassetto al loro posto. Sarà rispettata questa volontà espressa all'unanimità dai padri sinodali nello stilare l'elenco definitivo delle proposizioni da presentare al Papa al termine dei lavori.
Lo assicura in questa intervista rilasciata al nostro giornale il patriarca egiziano di Alessandria dei copti, Antonios Naguib, che riceverà la porpora cardinalizia nel prossimo concistoro del 20 novembre. Da relatore generale al sinodo, il patriarca è impegnato in queste ore proprio nella stesura dell'elenco definitivo delle proposizioni.
Alla vigilia del sinodo lei anticipò al nostro giornale le attese e le speranze riposte in questa assemblea dai cattolici della regione mediorientale. Al termine dei lavori sinodali quelle attese e quelle speranze hanno trovato conferme?
Patriarca Antonios Naguib |
In effetti mentre nell'Istrumentum laboris ci si imbatte spesso in termini come "paura", "timore", "disperazione", usati per descrivere situazioni di vita dei cristiani in Medio Oriente, nelle propositioni queste parole non compaiono mai.
Esattamente. Dopo i primi interventi in aula, nei quali spesso è stata concentrata l'attenzione proprio sulle paure, sui timori, sulla disperazione che sino a oggi hanno caratterizzato la quotidianità della vita dei cristiani in queste regioni, abbiamo deciso di eliminare queste parole. Non tanto per esorcizzare una mentalità che andava sempre più affermandosi nel nostro contesto, quanto piuttosto per cominciare a insegnare ai nostri fedeli a vivere nella luce dello Spirito, che non ci abbandona mai. I padri sinodali hanno chiesto espressamente di non fare mai più cenno a paure e timori in tutti i prossimi documenti, a partire proprio dalle proposizioni. Volontà comune è far sì che quest'assemblea sinodale possa dare una grande spinta in avanti verso la speranza.
È un invito a guardare al futuro in uno spirito più positivo?.
Sicuramente. Del resto lo abbiamo sempre fatto; ma ora si tratta di trasformarlo in stile di vita. Positivi devono essere la nostra visione, il nostro modo di pensare, il nostro avvicinare gli altri, la nostra azione pastorale.
Tra le attese della vigilia dell'assemblea sinodale, lei aveva indicato come urgente la necessità di riscoprire l'unità tra le stesse Chiese cattoliche nel Medio Oriente. Obiettivo più alla portata di mano oggi?
Quella della comunione è una questione molto importante. Lo era prima e lo è anche adesso. Anzi, forse lo è ancora di più perché in queste giornate abbiamo effettivamente vissuto la comunione tra di noi. Abbiamo discusso insieme per la prima volta; e per la prima volta abbiamo lavorato insieme, redatto documenti condivisi, ma soprattutto abbiamo dato una testimonianza comune. Ecco, comunione e testimonianza sono i due elementi fondamentali della nostra identità di figli dell'unico Dio. Come ha detto il Papa nell'omelia della messa inaugurale del sinodo, senza comunione non c'è testimonianza. La comunione è espressione, o meglio è la traduzione dell'amore di Dio, dunque della presenza del Dio amore. Una presenza viva nelle nostre Chiese. E noi siamo chiamati a darne concreta testimonianza. In questo senso si è notata una grande sensibilità in tutta l'assemblea. È stato infatti lanciato un forte appello alla comunione tra le Chiese nella regione. E poi l'appello si è allargato sino a comprendere le Chiese sorelle e le altre comunità religiose presenti nella nostra regione, ebrei e musulmani in particolare.
Ci sarà anche un nuovo modo di alimentare il dialogo ecumenico?
Credo proprio di sì. Sino a oggi ci siamo presentati al dialogo in modo troppo timido. Da questo momento, invece, proprio per lo slancio nuovo che ci viene da questo sinodo, ci porremo in dialogo con tutti, ma senza atteggiamenti di timidezza, di paura o comunque di soggezione.
Forti anche della maggiore consapevolezza del ruolo che la comunità cattolica già svolge comunque nel contesto sociale di tanti Paesi.
Certo. Anzi direi che è proprio questa la piattaforma che ci porta a reclamare la parità di diritti. La nostra, infatti, è una presenza attiva, apprezzata e anche ricercata nei campi dell'educazione, dello sviluppo sociale e della promozione umana, oltre che nell'azione caritativa. Peraltro, si tratta di servizi offerti a tutti, senza distinzioni. Essendo noi cattolici una minoranza in questi Paesi, a beneficiare dei nostri servizi sono per la maggior parte proprio i non cristiani.
Riconoscimenti in questo senso sono venuti anche dagli interventi in aula dei rappresentati dell'ebraismo e dell'islam.
Mi sono sembrati effettivamente molto sinceri. Mi pare che abbiano offerto la loro visione della collaborazione che deve esserci tra di noi. Mi sembra anche che abbiano manifestato l'idea che ciascuno debba partecipare all'opera comune mantenendo salda la propria identità. È chiaro però che tutti hanno ben presente che a muovere i nostri passi comune è la fede in Dio e la fiducia nell'uomo che ha diritto a vivere in pace.
Il rabbino Rosen ha accennato a una problematica particolare: la necessità di conoscersi meglio. Ha detto di aver conosciuto alcuni pastori della Chiesa cattolica che non sono al corrente degli sviluppi del dialogo tra cattolici ed ebrei, così come ci sono ancora tanti ebrei che non conoscono nulla del cattolicesimo.
E ha ragione. Anzi io direi che questo vale anche nel rapporto islamo-cristiano. È stata perciò molto importante la presenza accanto a noi di esperti della letteratura arabo-musulmana e del dialogo fra le religioni: ci ha aiutato ad aprirci alla conoscenza degli altri. Ma dovremo fare ancora molti passi, cominciando innanzitutto a conoscere meglio noi stessi.
Se dovesse sintetizzare l'assemblea sinodale che si sta avviando ormai a conclusione, cosa sottolineerebbe?
Innanzitutto la preghiera comune che si è levata verso lo Spirito affinché illumini le nostre Chiese a riscoprire, e a vivere in concreto, tutta l'esperienza maturata in questi giorni straordinari. In particolare evidenzierei l'occasione che ci è stata offerta di rafforzare la nostra unione con la Chiesa universale e anche tra di noi: un aspetto che io ritengo essenziale per la nostra testimonianza nel Medio Oriente.
E nelle proposizioni vengono evidenziate queste priorità?
Sostanzialmente sì, perché i concetti ricorrenti sono proprio la necessità della comunione e quella della testimonianza.
Altri aspetti evidenziati?
La necessità di approfondire il dialogo con le altre religioni presenti sul territorio, oltreché con gli altri fratelli cristiani; la ricerca della pace; il rispetto dei diritti di ogni individuo; la giustizia uguale per tutti; la questione dell'emigrazione al pari di quella dell'immigrazione, che comporta non pochi problemi pastorali; la protezione e la valorizzazione della donna; la questione della formazione nei seminari e anche la formazione dei sacerdoti. Quest'ultimo è un argomento molto importante poiché da esso dipende molto del cammino futuro delle nostre Chiese. C'è di che riflettere e lavorare.
Come ha accolto la notizia della sua nomina cardinalizia, giunta proprio nel bel mezzo del lavoro sinodale?
Come un segno. Ho colto il senso della doppia responsabilità che il Papa ha voluto darmi: da una parte, quella di rafforzare il contatto tra la nostra Chiesa particolare e la Chiesa universale; dall'altra la chiamata alla corresponsabilità nell'assicurare il servizio alla Chiesa universale secondo le disposizioni del Pontefice e della Santa Sede.
(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2010)