lunedì 25 ottobre 2010

L'udienza di Benedetto XVI ai partecipanti al convegno internazionale su Erik Peterson


L'udienza di Benedetto XVI ai partecipanti al convegno internazionale su Erik Peterson

In cerca di una città futura

"Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura". Per Benedetto XVI questa citazione presa dalla Lettera agli Ebrei (13, 14) potrebbe essere il motto ideale per definire la vita di Erik Peterson, il teologo tedesco - una delle figure più eminenti del XX secolo - alla cui opera è dedicato il convegno in corso in questi giorni a Roma in occasione del cinquantesimo anniversario della morte e i cui partecipanti sono stati ricevuti in udienza, nella mattinata di lunedì 25 ottobre nella Sala Clementina.

Dopo aver rivolto il suo personale saluto al cardinale Karl Lehmann, vescovo di Mainz, e ai familiari di Peterson, il Papa ha ripercorso con rapidi tratti la biografia dello studioso di Amburgo sottolineando come la difficile situazione politica in Germania dopo la prima guerra mondiale, ormai priva di certezze, si riflettesse anche nel dibattito teologico. In quel contesto il protestante Peterson decise di lavorare in campo storico e di affrontare specialmente problemi di storia delle religioni.

Di lì partì il suo cammino di ricerca durante il quale giunse sempre più alla certezza che non c'è nessuna storia staccata da Dio e che in questa storia la Chiesa ha un posto speciale e trova il suo significato.

Benedetto XVI ha messo in evidenza due capisaldi della riflessione teologica petersoniana: anzitutto il carattere vincolante della Sacra Scrittura, la cui testimonianza rimane viva nella Chiesa e costituisce il fondamento per le convinzioni religiose permanentemente valide della Chiesa stessa. Convinzioni - emerge qui il secondo aspetto fondamentale - che si manifestano continuamente nella liturgia quale spazio vissuto della Chiesa per la lode di Dio in una relazione indissolubile con la Gerusalemme celeste.

In questa tensione verso il futuro si ritrova quindi il richiamo alla Lettera agli Ebrei: "Non abbiamo quaggiù una città stabile", ed Erik Peterson - ha ricordato Benedetto XVI non ha mai trovato un vero posto in tutta la sua vita, dove poter ottenere riconoscimento e stabile dimora. E proprio la precarietà della sua esistenza (acuita dalla perdita dell'insegnamento dopo la sua conversione al cattolicesimo) ha determinato il fatto che molte delle cose da lui pensate e scritte siano rimaste frammentarie.

Particolarmente prezioso, perciò, per il Papa è stato e continua a essere l'impegno di quanti stanno lavorando all'edizione della sua opera e alla sua traduzione in varie lingue (italiano, francese, spagnolo, inglese, ungherese e perfino cinese). Un'opera nella quale emerge chiaramente come il suo pensiero non si ferma mai ai dettagli, ma sa contemplare sempre l'insieme della teologia.

"Non abbiamo quaggiù una città stabile" e perciò Peterson, anche quando non aveva la sicurezza di uno stipendio fisso, non esitò, una volta giunto a Roma, a sposarsi e a formare una famiglia, confidando nella provvidenza di Dio ed esprimendo in modo concreto la sua convinzione interiore che noi, pur essendo stranieri sulla terra, troviamo tuttavia un sostegno nella comunione dell'amore, e che nell'amore stesso vi è qualcosa che dura per l'eternità.

Andiamo infatti in cerca di una città futura.

(©L'Osservatore Romano - 25-26 ottobre 2010)