martedì 30 novembre 2010

Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI a Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico, in occasione della Festa di Sant'Andrea (30 novembre 2010)


Il Pontefice al patriarca ecumenico Bartolomeo per la festa di sant'Andrea

Dobbiamo progredire nel cammino
verso la piena comunione

Il cardinale Kurt Koch guida per la prima volta la delegazione della Santa Sede per la festa di sant'Andrea, patrono del Patriarcato ecumenico, nel quadro dell'annuale scambio di delegazioni per le rispettive feste dei santi patroni. Il presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani è accompagnato dal segretario del dicastero, il vescovo Brian Farrell, e dal reverendo Andrea Palmieri, officiale. A Istanbul si è unito alla delegazione della Santa Sede il nunzio apostolico in Turchia, l'arcivescovo Antonio Lucibello. La delegazione ha preso parte alla solenne divina liturgia, presieduta da Bartolomeo nella chiesa patriarcale del Fanar, e ha avuto un incontro con il patriarca e con la commissione sinodale incaricata delle relazioni con la Chiesa cattolica. Il cardinale Koch ha consegnato al patriarca ecumenico un messaggio autografo del Papa, di cui ha dato pubblica lettura, accompagnato da un dono. Del messaggio pubblichiamo di seguito il testo in italiano.


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

A SUA SANTITÀ BARTOLOMEO I,
PATRIARCA ECUMENICO,
IN OCCASIONE DELLA FESTA DI S. ANDREA


A Sua Santità Bartolomeo I
Arcivescovo di Costantinopoli
Patriarca Ecumenico

È con grande gioia che in occasione della Festa di Sant’Andrea Apostolo, fratello di San Pietro e Patrono del Patriarcato Ecumenico, Le rivolgo questo scritto, affidato al Venerato Fratello il Cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, per augurare a Vostra Santità, ai membri del Santo Sinodo, al clero, ai monaci e a tutti i fedeli abbondanza di doni celesti e di benedizioni divine.

In questo gioioso giorno di festa, insieme a tutti i fratelli e sorelle cattolici, mi unisco a Lei nel rendimento di grazie a Dio per le meraviglie che egli ha compiuto, nella sua infinita misericordia, attraverso la vita ed il martirio di Sant’Andrea. Gli Apostoli, offrendo generosamente la loro vita in sacrificio per il Signore e per i loro fratelli, hanno dato testimonianza alla Buona Novella da essi proclamata sino ai confini del mondo allora conosciuto. La Festa dell’Apostolo, che cade in questo stesso giorno nei calendari liturgici dell’Oriente e dell’Occidente, rappresenta, per tutti coloro che per la grazia di Dio e il dono del Battesimo hanno accettato il messaggio di salvezza, un forte invito a rinnovare la propria fedeltà all’insegnamento degli Apostoli e a divenire annunciatori instancabili della fede in Cristo, con la parola e la testimonianza della vita.

In questo nostro tempo, tale invito è urgente come non mai e interpella tutti i cristiani. In un mondo segnato da una crescente interdipendenza e solidarietà, siamo chiamati a proclamare con rinnovata convinzione la verità del Vangelo e a presentare il Signore Risorto come la risposta alle più profonde domande e aspirazioni spirituali degli uomini e delle donne di oggi.

Per poter riuscire in questo grande compito, dobbiamo continuare a progredire sul cammino verso la piena comunione, mostrando di avere già unito i nostri sforzi per una comune testimonianza al Vangelo di fronte agli uomini del nostro tempo. Per questa ragione vorrei esprimere la mia sincera gratitudine a Vostra Santità e al Patriarcato Ecumenico per la generosa ospitalità offerta lo scorso ottobre sull’isola di Rodi ai Delegati delle Conferenze Episcopali d’Europa, che si sono riuniti con rappresentati delle Chiese Ortodosse d’Europa per il II Forum cattolico-ortodosso sul tema “Rapporti Chiesa – Stato: prospettive teologiche e storiche”.

Santità, seguo con attenzione i Suoi saggi sforzi per il bene dell’Ortodossia e per la promozione dei valori cristiani in molti contesti internazionali. AssicurandoLe, in questa Festa di Sant’Andrea Apostolo, il ricordo nelle mie preghiere, rinnovo l’augurio di pace, salute e di abbondanti benedizioni spirituali su di Lei e su tutti i fedeli.

Con sentimenti di stima e di vicinanza spirituale, scambio con Lei il fraterno abbraccio nel nome del nostro unico Signore Gesù Cristo.

Dal Vaticano, 30 novembre 2010

BENEDETTO XVI


© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana


Sant'Andrea, apostolo (f) 30 novembre


30 NOVEMBRE
SANT' ANDREA APOSTOLO
Festa

Andrea, dal bel nome greco (Andreas = Virile), appare un uomo generoso, pronto, aperto, entusiasta. Era figlio di Giona di Betsaida (Mt 16,17), fratello minore di Pietro. Fu discepolo di Giovanni Battista, presso il quale conobbe l’apostolo Giovanni, e con lui seguì per primo Gesù, al quale condusse il fratello Pietro (Gv 1,35-42).

I suoi interventi nel gruppo degli apostoli sono pochi ma significativi. Davanti alla folla affamata, Andrea indica a Gesù un fanciullo provvisto di cinque pani d’orzo e di due pesci (Gv 6,9), quasi per invitarlo a rinnovare dei prodigi. Alla scuola di Giovanni Battista, Andrea conobbe l’essenismo e fu fortemente colpito dalla speranza messianica: è lui, infatti, che pose la domanda alla quale Cristo rispose con il suo discorso escatologico (Mc 13,3-37). Infine, Andrea si è dimostrato particolarmente aperto di fronte al problema missionario: infatti, assieme a Filippo, e nelle forme prescritte dal giudaismo, si fece garante delle buone disposizioni dei pagani che volevano avvicinare Gesù (Gv 12,20-22).

Alcune tradizioni, che non possiamo controllare, riferiscono che Andrea svolse il suo ministero apostolico in Grecia e in Asia minore. Secondo queste tradizioni, egli morì martire a Patrasso, sopra una croce formata ad X, detta appunto «croce di sant’Andrea».
Paolo VI ha restituito alla Chiesa Orientale le reliquie di Sant’Andrea che si conservavano in San Pietro e furono riportate a Patrasso.

Andrea è il primo «missionario» fra gli Apostoli: lo testimonia Giovanni che era con lui al momento della chiamata (l’ora decima). Subito dopo l’incontro con Gesù Andrea testimonia al fratello Simone: «Abbiamo trovato il Messia!» e lo condusse a Gesù (Gv 1,41). La nostra Eucaristia rimane inefficace se non partiamo dalla Messa col desiderio stimolante di testimoniare che anche noi «abbiamo trovato il Signore» e non avvertiamo l’urgenza di condurre altri fratelli a Cristo, perché li accolga con noi alla mensa del Padre
.


Abbiamo trovato il Messia

Dalle «Omelie sul vangelo di Giovanni» di san Giovanni Crisostomo, vescovo.

Andrea, dopo essere restato con Gesù e aver imparato tutto ciò che Gesù gli aveva insegnato, non tenne chiuso in sé il tesoro, ma si affrettò a correre da suo fratello per comunicargli la ricchezza che aveva ricevuto. Ascolta bene cosa gli disse: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)» (Gv 1,41).

Vedi in che maniera notifica ciò che aveva appreso in poco tempo? Da una parte mostra quanta forza di persuasione aveva il Maestro sui discepoli, e dall’altra rivela il loro interessamento sollecito e diligente circa il suo insegnamento.

Quella di Andrea è la parola di uno che aspettava con ansia la venuta del Messia, che ne attendeva la discesa dal cielo, che trasalì di gioia quando lo vide arrivare, e che si affrettô a comunicare agli altri la grande notizia.

Dicendo subito al fratello ciò che aveva saputo mostra quanto gli volesse bene, come fosse affezionato ai suoi cari, quanto sinceramente fosse premuroso di porgere loro la mano nel cammino spirituale.
Guarda anche l’animo di Pietro, fin dall’inizio docile e pronto alla fede: immediatamente come senza preoccuparsi di nient’altro. Infatti dice: «Lo condusse da Gesù» (Gv 1,42).

Nessuno certo condannerà la facile condiscendenza di Pietro nell’accogliere la parola del fratello senza aver prima esaminato a lungo le cose. E' probabile infatti che il fratello gli abbia narrato i fatti con maggior precisione e più a lungo, mentre gli evangelisti compendiano ogni loro racconto preoccupandosi della brevità.

D’altra parte non è detto nemmeno che abbia creduto senza porre domande, ma che Andrea «lo condusse da Gesù»; affidandolo a lui perché imparasse tutto da lui direttamente. C’era insieme infatti anche un altro discepolo e anche lui fu guidato nello stesso modo.

Se Giovanni Battista, dicendo: «Ecco l’Agnello di Dio», e ancora: ecco colui che battezza nello Spirito (cfr. Gv 1, 29. 33), lasciò che un più chiaro insegnamento su questo venisse da Cristo stesso, certamente con motivi ancor più validi si comportò in questo modo Andrea, non ritenendosi tale da dare una spiegazione completa ed esauriente. Per cui guidò il fratello alla sorgente stessa della luce con tale premura e gioia da non aspettare nemmeno un istante.


Le memorie senza volto del comunismo di Jan Mikrut


Nel XX secolo migliaia di testimoni della fede
furono barbaramente ridotti al silenzio dal totalitarismo d'impronta sovietica

Le memorie senza volto del comunismo

Dagli archivi del cardinale Franz König storie di ordinaria persecuzione


di Jan Mikrut
Pontificia Università Gregoriana

Attraverso l'esperienza maturata come responsabile dell'Ufficio cause di beatificazione dell'arcidiocesi di Vienna e curatore della redazione del nuovo Martirologio della Chiesa austriaca per l'anno 2000 e la collaborazione col Comitato nuovi martiri, che si occupava di elaborare le statistiche dei martiri cristiani per il grande Giubileo, ho potuto avere una visione mondiale delle persecuzioni del XX secolo.

Il 24 giugno 2010 è stato aperto nell'Archivio dell'arcidiocesi di Vienna il "Kardinal-König-Archiv". Agli studiosi sono stati messi a disposizione 2.000 cartoni, contenenti il prezioso materiale riguardante la vita del cardinale fino al 1958. Oltre alla biblioteca privata del porporato sono stati messi a disposizione documenti personali, fotografie e lettere.

Il XX secolo, caratterizzato dai grandi totalitarismi - il comunismo e il nazionalsocialismo - ha lasciato fino a oggi prove tangibili del grande coraggio nella fede dimostrato da numerosi martiri che, col sangue, dimostrarono il loro legame con Cristo e con la Chiesa. Noi oggi tenteremo di dare un volto e un nome a qualcuno di questi testimoni ridotti al silenzio con brutalità.

Giovanni Paolo II ha sottolineato la necessità di riscoprire la memoria dei martiri e la loro testimonianza. I martiri cristiani sono coloro che hanno annunciato il Vangelo dando la vita per amore. Questa testimonianza dei martiri cristiani doveva essere riscoperta di nuovo dalla Chiesa proprio adesso, quando il XX secolo, così ricco di grandi eroi della fede, volgeva al tramonto. Il martire è un grande testimone di Cristo e, soprattutto ai nostri giorni, è segno visibile di quell'amore che riassume ogni altro valore. La sua richiesta fu ben accolta e le Chiese nazionali e gli ordini religiosi iniziarono a preparare le liste e a raccogliere i documenti ancora esistenti sui propri martiri.

Nelle statistiche preparate della Commissione nuovi martiri per il Grande Giubileo del 2000 si contano 12.692 martiri, così ripartiti: dall'Europa 8.670, dall'Asia 1.706, dall'Africa 746, dall'America del nord e del sud 333, dall'Oceania 126. Un gruppo particolare è dato dai 1.111 martiri dell'Unione Sovietica. Nella statistica della vecchia Europa si contano 3.970 preti diocesani, 3.159 religiosi e religiose, 1.351 laici, 134 seminaristi, 38 vescovi, 2 cardinali, 13 catechisti. In totale in Europa abbiamo avuto 8.667 testimoni di Cristo. Nel contesto mondiale tra i martiri si annoverano 5.173 preti diocesani, 4.872 religiosi e religiose, 2.215 laici, 124 catechisti, 164 seminaristi, 122 vescovi, 4 cardinali e 12 catecumeni.

Il XX secolo è stato il periodo dei totalitarismi, delle due guerre mondiali, delle rivoluzioni, dei tragici genocidi e delle infinite persecuzioni religiose. Tra tutte le tragedie sopra accennate, la persecuzione più grande fu la battaglia organizzata contro il cristianesimo dal comunismo internazionale. Solo il Libro nero del comunismo curato da Stéphane Courtois offre una provvisoria statistica di 85 milioni di morti causati dal totalitarismo comunista.

In Russia vivevano da secoli anche altre confessioni cristiane, oltre a ebrei e musulmani; ma chiunque non condividesse la nuova ideologia atea dei comunisti doveva essere allontanato con forza dalla società. Nascono così i cosiddetti Gulag, dal russo "Direzione principale dei campi di lavoro correttivi". Il numero di morti nei Gulag è ancora oggetto di indagine: una stima provvisoria parla di tre milioni. L'incredibile persecuzione dei numerosi oppositori politici è ben nota anche grazie alle pubblicazioni scritte dagli stessi detenuti, il più famoso dei quali fu Aleksander Solzenicyn, che nel suo Arcipelago Gulag ha raccontato la tragedia dei detenuti, ha fatto conoscere la parola Gulag e l'esistenza stessa di questi campi.

La Chiesa ortodossa russa contava nel 1917 circa 210.000 membri del clero, 100.000 monaci e oltre 110.000 preti diocesani. Circa 130.000 furono fucilati nel periodo 1917-1941. Dei 300 vescovi presenti nel 1917 in Russia, 250 di loro furono fucilati. Gli altri membri del clero sopravvissero in diverse prigioni e campi di concentramento, sottoposti a ogni genere di persecuzione. Nel 1941, nel primo periodo della guerra con la Germania, si trovavano in libertà solo quattro vescovi. È difficile presentare un numero preciso delle vittime, secondo le valutazioni il numero totale oscilla tra 500.000 e un milione.

Sul territorio dell'Unione Sovietica c'erano anche altre confessioni cristiane. Tra loro i cattolici di rito romano e bizantino. Nel 1917 vivevano in Russia circa 2 milioni di cattolici con circa 1.000 sacerdoti e 6.400 chiese. I cattolici romani sono stati perseguitati come minoranza straniera. La maggior parte dei cattolici presenti su questo territorio erano cittadini di origine polacca. Nel periodo 1917-1939 subirono persecuzioni sia per motivi politici che religiosi, ma la situazione peggiorò dopo il 17 settembre 1939, quando i comunisti russi invasero la Polonia e sterminarono l'intellighenzija cattolica. La popolazione di origine polacca fu deportata in Siberia e in Kazakhstan, dove dovette iniziare una vita in diaspora insieme con altri popoli.

Il gesuita Walter Ciszek fu arrestato nel 1941 e condannato ai lavori forzati; deportato nei campi di lavoro in Siberia vi rimase per 23 anni, subendo ogni sorta di vessazione solo per il fatto di essere sacerdote cattolico. Dopo la sua liberazione fu scambiato dai comunisti con due spie sovietiche, arrestate in Europa occidentale. Dopo il 1963 visse negli Stati Uniti, fino alla morte, avvenuta nel 1984. Le sue memorie sono raccolte nel libro With God in Russia. La sua causa di beatificazione è stata avviata nel 1990.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale e la caduta del nazionalsocialismo, il sistema comunista trovò terreno fertile in Europa. Lo schema era ben collaudato: la Chiesa cattolica con le sue strutture rappresentava il vecchio sistema da cui liberarsi; la religione fu declassata a strumento di manipolazione da parte dei preti e delle loro istituzioni. Il nuovo sistema ateo doveva liberare la società dall'influenza della Chiesa. Il marxismo-leninismo diventa il nuovo sistema politico-economico. Nel 1945 l'esercito russo liberò dal nazionalsocialismo tedesco grandi territori dell'Europa: Albania, Austria, Bulgaria, Cecoslovacchia, Germania, Polonia, Romania, Ungheria. Nei Paesi dove i precedenti governi erano nazionalsocialisti come Austria, Germania, Slovacchia e Ungheria l'Armata rossa entrò come il vincitore con il diritto del bottino di guerra.

Moltissime furono le vittime di queste rappresaglie e tra queste numerosi sacerdoti e suore. Per l'esercito russo anche i rappresentanti della Chiesa furono responsabili delle tragedie causate dai nazionalsocialisti e per questo molti sacerdoti uccisi nei primi giorni dopo la liberazione furono dichiarati pericolosi nemici del comunismo.

I vescovi europei - rappresentati dai presidenti di tutte le conferenze episcopali del continente, radunati il 3 ottobre 2010 a Zagabria alla quarantesima sessione plenaria del Consiglio delle conferenze episcopali d'Europa (Ccee) - hanno dedicato attenzione a grandi vescovi dei Paesi del blocco comunista come Alojzije Stepinac (1898-1960) in Croazia, József Mindszenty (1892-1975) in Ungheria e Stefan Wyszynski (1901-1991) in Polonia. Il cardinale Peter Erdö ha citato la figura del porporato incarcerato per cinque anni a causa della sua fedeltà a Dio, il cardinale József Mindszenty, e uno dei membri della Chiesa che fu vittima del comunismo, il cardinale Stefan Wyszynski. Questi grandi uomini della Chiesa furono pronti a testimoniare la loro fedeltà fino al martirio. Il porporato ungherese ha definito il periodo del comunismo, senza entrare nei dettagli, come tempo difficile e complesso. I santi e i beati come Alojzije Stepinac portano nel buio la luce di Cristo e sono nostri esempi e nostri patroni celesti.

Non mi sembra necessario raccontare qui i dettagli della vita del beato cardinale Stepinac, perché prima e dopo la beatificazione sono stati pubblicati numerosi libri che offrono un ampio profilo biografico in una storia politicamente complicata come quella della Croazia. Alla fine della guerra, dopo la fuga di Ante Pavelic e del suo governo, Stepinac rimase al suo posto a Zagabria. I comunisti avevano già iniziato a perseguitare la Chiesa. Nel marzo 1945, la Chiesa croata pubblicò una lista di sacerdoti uccisi con 149 nomi. Tito cercò di convincere l'arcivescovo Stepinac a staccarsi da Roma e fondare una Chiesa cattolica indipendente dalla Santa Sede. Ma Stepinac si oppose con forza: "Nessun cattolico, anche a costo della vita, può eludere il suo foro supremo, la Santa Sede, altrimenti cessa di essere cattolico".

Le vicende di due sacerdoti dell'arcidiocesi di Vienna in Austria sono illuminanti della situazione: Johann Wolf (1892-1945) parroco a Kaltenleutgeben e Rudolf Frank (1902-1945) da Niedersulz vicino Vienna, ambedue uccisi dall'esercito russo. Johann Wolf era un prete apprezzato, orgoglioso testimone di Cristo. Dopo la partenza dei tedeschi la popolazione locale cercò di nascondersi dove poteva: i russi cercavano alcol e oggetti di valore da portare con loro come bottino di guerra, ma, soprattutto, cercavano vendetta per le gravi perdite subite in battaglia, bruciando le case e uccidendo civili. Anche il parroco Wolf fu ucciso nella canonica insieme con sua sorella e alcuni profughi che cercavano di nascondersi.

Rudolf Frank si diede da fare per difendere e nascondere le donne che subivano stupri dai soldati russi, ubriachi: infatti nella zona di Niedersulz in Bassa Austria ci sono moltissime vigne e grandi cantine e i soldati vi trovarono grandissime quantità di vino. Domenica 15 aprile 1945 la popolazione aspettava l'arrivo dei russi. Si raccontava della particolare brutalità dei nuovi occupanti e in modo particolare le famiglie pensavano a un luogo dove nascondere le donne. Il sacerdote riunì nella canonica circa 300 donne, sperando di poter organizzare meglio la protezione. I soldati russi arrivarono in canonica il 16 aprile, ma il parroco chiuse le porte e si rifiutò di aprire. Un comportamento del genere era intollerabile per i nuovi padroni: il prete fu picchiato, ma i soldati andarono via. Il giorno seguente, martedì 17 aprile, tornarono di nuovo e il sacerdote nuovamente bloccò la porta sperando di poter proteggere le donne nascoste nella canonica ma questa volta un soldato sparò due volte e ferì mortalmente il parroco.

L'Albania fu il primo Paese europeo a dichiararsi ateo e a essere governato secondo l'ideologia comunista. Nel 1967 fu ufficialmente introdotto l'ateismo come fondamento per la vita della società e fu proibita ogni forma di culto religioso. Il governo dichiarò con orgoglio che l'Albania era diventato il primo Stato ateo del mondo. Nella nuova costituzione del Paese, approvata nel 1976, all'articolo 37 recitava "lo Stato non riconosce alcuna religione e sostiene la propaganda atea per infondere alle persone la visione scientifico-materialista del mondo". Il governo procedette alla confisca di moschee, chiese, monasteri e sinagoghe. Gli edifici di culto furono trasformati in musei o uffici pubblici, magazzini, cinema, stalle per animali. Ai genitori fu proibito dare ai figli nomi con riferimenti religiosi. In seguito furono uccisi a Tirana i primi due sacerdoti, Lazër Shantoja e Mark Gjani. Nel 1947 fu ucciso a Scutari il gesuita Ndoc Saraci. Un anno dopo, nel 1948, furono fucilati i vescovi Gjergj Volaj e Frano Gjini e, nel 1949, dopo terribili torture, morì in prigione l'arcivescovo di Tirane-Durrës Vincenz Nikollë Prennushi. Colpire duramente la comunità cattolica significava cancellare la lunga e tollerante tradizione del Paese per far posto alla nuova e aggressiva ideologia comunista. In Albania furono uccisi 5 vescovi, 60 sacerdoti, 30 religiosi francescani, 13 gesuiti, 10 seminaristi e 8 suore. La lista non è ancora completa, mancano i martiri laici uccisi durante il periodo comunista.

Tra le figure di spicco della resistenza religiosa va in primo luogo ricordato coraggioso padre Mikel Koliqi (1902-1997), creato cardinale da Giovanni Paolo II nel 1994. Padre Mikel Koliqi era stato condannato ai lavori forzati già nel 1945, con la banale accusa di ascoltare le stazioni straniere della radio.

In Romania numerosi vescovi, monaci e preti furono arrestati dalla polizia segreta e molti laici vennero reclusi nei campi di lavoro. Come esempio di persecuzione ricordo la vita di monsignor Anton Durcovici (1888-1951), eroico vescovo della diocesi di Iasi in Romania al confine con la Repubblica Moldava. Nel 1948 la Chiesa romano-cattolica in Romania era organizzata in cinque diocesi, 694 parrocchie, 1.225 chiese e 835 sacerdoti. La Chiesa greco-cattolica aveva cinque diocesi, 2.536 chiese, 1.794 parrocchie, 1.788 sacerdoti. La pacifica convivenza delle varie nazionalità e culture che da secoli vivevano in pace e tolleranza fu improvvisamente distrutta dal nuovo sistema politico del dopo guerra.

I comunisti per principio non volevano condividere il potere con nessun altro gruppo politico o religioso. Già dall'inizio le organizzazioni religiose erano oggetto di un'organizzata persecuzione da parte del governo comunista. Centinaia di sacerdoti furono arrestati e in seguito portati nei campi di lavori forzati, dove, maltrattati, molti morivano in poco tempo. Il 26 giugno 1949 Durcovici fu arrestato mentre viaggiava su un tram insieme con un altro sacerdote, Rafael Friedrich. In quel periodo furono arrestati tutti i cinque vescovi e la Chiesa rimase senza guida, a parte alcuni sacerdoti ancora in libertà. Il vescovo dovette subire terribili maltrattamenti, privato del cibo e nel totale isolamento, senza bagno. Per farlo soffrire ancora di più i poliziotti gli tolsero i vestiti. Un sacerdote prigioniero, incaricato della pulizia del corridoio, poté avvicinarsi alla porta della cella senza destare sospetti e dire qualche parola a voce bassa al suo vescovo. Lui riconobbe la sua voce e lo informò in lingua latina, sconosciuta ai poliziotti, che stava soffrendo molto ed era ormai prossimo alla morte per la fame e per le ferite; sdraiato sul pavimento tra la sporcizia e gli escrementi, per lui non era più possibile muoversi. Alla fine del brevissimo colloquio chiese al sacerdote prigioniero di dargli l'assoluzione dei peccati in caso di morte e anche la sua benedizione. Probabilmente già il 10 dicembre il coraggioso vescovo e martire Anton Durcovici morì nella sua cella.

Secondo le informazioni fornite dagli studiosi rumeni, nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, dei circa 3.331 sacerdoti cattolici, di ambedue i riti, ne furono uccisi circa 1.405.
In Slovenia la storia ebbe lo stesso percorso. Anton Vovk (1900-1963) venne nominato vescovo (e poi arcivescovo) di Ljubljana il 26 novembre 1959. Giovanni XXiii lo definì "martire del XX secolo". Dopo la seconda guerra mondiale vescovi, sacerdoti e fedeli subirono una dura repressione.

Alla fine della guerra circa 300 sacerdoti e religiosi sloveni furono espulsi dal partito comunista. Alcuni furono uccisi senza processo, altri ancora furono condannati dai tribunali popolari senza nessuna ragione, spesso patirono lunghi anni di prigione. Nel solo maggio 1945 furono arrestati 50 preti. Negli anni 1945-1961 furono condannati senza processo 425 sacerdoti. Lo stato comunista ridusse pesantemente la libertà di culto e proibì ogni attività fuori dalle parrocchie.

Il vescovo Anton Vovk era solito viaggiare con i mezzi pubblici, accompagnato, per motivi di sicurezza, da altri sacerdoti. Anche il 20 gennaio 1952 viaggiava in compagnia di altre persone da Ljubljana a Nové Mesto per la benedizione dell'organo nella chiesa parrocchiale di Stopice. Sullo stesso treno si trovavano anche agenti della polizia, che avevano progettato un attentato ai suoi danni. Appena il treno entrò in una galleria, sulle vesti del vescovo fu gettato un liquido maleodorante e infiammabile. Alla stazione di Nové Mesto il vescovo scese dal treno, ma fu subito assalito da un gruppo di persone che lo costrinsero a risalire, non prima però di aver gettato della benzina sulla sua veste e aver appiccato il fuoco. La folla, invece di intervenire in suo aiuto, gridava con furore: "brucia diavolo, crepa diavolo!". Anche la polizia non intervenne.

Il vescovo non perse il sangue freddo e si liberò dai vestiti in fiamme. Il fuoco aveva provocato gravi ferite sul volto e sulla gola, dove il collarino di plastica gli procurò una cicatrice che gli rimase per tutta la vita. Quando le fiamme si spensero un poliziotto lo accompagnò nel vicino edificio della stazione, dove fu di nuovo aggredito da un gruppo di attivisti comunisti. Con la scusa di espletare le formalità fu ritardata l'opera del medico. Portato finalmente nell'ospedale fu medicato sommariamente e rimandato subito a Ljubljana con il primo treno disponibile. Dopo una grave malattia, l'arcivescovo Anton Vovk morì il 7 luglio 1963. L'inchiesta diocesana della causa di beatificazione si è conclusa il 12 ottobre 2007 e il 26 ottobre i documenti sono stati portati in Vaticano.

Uno dei più grandi desideri irrealizzati di Giovanni Paolo II fu quello di poter visitare la Russia, ma riuscì solo a visitare alcuni Paesi della dissolta Unione Sovietica. La visita in Ucraina fu un'occasione per pregare insieme a un milione di fedeli, ma anche per commemorare, quel 27 giugno 2001, il sacrificio di 27 martiri, di cui 9 vescovi, sacerdoti e laici elevati alla gloria degli altari. Le persecuzioni in Ucraina iniziano con l'arrivo dell'Armata rossa, nel marzo 1944. L'arcivescovo Andrej Szeptickyi, già vecchio e malato, morì il 1° novembre 1944. I comunisti, ancora negli ultimi giorni della guerra, arrestarono tutti i vescovi greco-cattolici sul territorio nazionale. Il loro destino fu contrassegnato da numerose prigionie, processi farsa o inesistenti, totale isolamento nei campi di lavoro, lontani dalle loro comunità. Il beato vescovo di Mukachevo, Theodore Romzha (1914-1947) fu il più giovane vescovo della Chiesa greco-cattolica. Nel 1946 lo Stato sovietico incorporò le diocesi greco-cattoliche nel patriarcato ortodosso di Mosca.

Solo la diocesi greco-cattolica di Mukachevo funzionava ancora. I servizi segreti cercavano da tempo un modo per uccidere il vescovo Theodore Romzha. In Unione Sovietica i sacerdoti non avevano diritto di spostarsi senza autorizzazione della milizia così anche il vescovo chiese un permesso per poter visitare una parrocchia. Questa informazione fu usata dai persecutori per organizzare un falso incidente stradale e uccidere il vescovo senza destare sospetti, temendo una reazione della popolazione. Il 27 ottobre 1947 l'auto del vescovo fu investita da un pesante camion ma il vescovo, vedendo gli attentatori armati con spranghe di ferro, ancorché ferito, riuscì a fuggire e venne ricoverato in gravissime condizioni all'ospedale di Mukachevo. Con il passare dei giorni le sue condizioni stavano migliorando. Ma un'infermiera, il 1 novembre 1947, lo uccise avvelenandolo con il curaro. Il 27 giugno 2001, Theodore Romzha è stato proclamato beato da Giovanni Paolo II a Leopoli.

La vita di Josyf Ivanovyc Slipyj illustra al meglio la situazione ucraina. Il 22 dicembre 1939 fu consacrato arcivescovo con diritto di successione, diventò capo della Chiesa Cattolica Ucraina il 1 novembre 1944. Slipyj fu arrestato l'11 aprile 1945. Dopo un processo farsa nel 1946, venne condannato per attività antisovietica a otto anni di prigionia, che scontò nei diversi Gulag. Nel 1954 venne di nuovo riportato in Siberia, questa volta per quattro anni. Nel 1959 sopportò un secondo processo e una nuova condanna, questa volta a sette anni di Gulag. Fu nominato cardinale in pectore fin dal 1960 e il 22 febbraio 1965 arcivescovo maggiore da Paolo VI. Slipyj morì il 7 settembre 1984.

Anche in Ungheria l'arrivo dell'Armata rossa segna l'inizio delle persecuzioni. Il sacrificio del vescovo di Gyor, Vilmos Apor, e la lotta per i diritti umani fatta da József Mindszenty, sono solo i due esempi più noti. La rottura con la Santa Sede si consumò il 4 aprile 1945, con la partenza del nunzio monsignor Angelo Rotta da Budapest. I comunisti russi portarono in Ungheria un gruppo di comunisti ungheresi, preparati a Mosca, con il compito di prendere il potere politico nel Paese. La Chiesa cattolica in Ungheria fu dichiarata un'organizzazione contraria agli interessi dei sovietici. Nel 1948 fu proclamata la separazione fra Stato e Chiesa e i sacerdoti dovettero restringere le loro l'attività all'interno delle chiese. Il Partito comunista ungherese desiderava con tutti mezzi prima di tutto diffondere l'ideologia materialista fra i giovani e la classe operaia.

Pio XII nominò il 15 settembre 1945 József Mindszenty nuovo arcivescovo di Esztergom. Mindszenty si impegnò a difendere le posizioni della Chiesa, i suoi diritti e la stabilità delle sue istituzioni senza compromessi politici. Il nuovo potere intensificò la campagna diffamatoria contro Mindszenty e la Chiesa cattolica. I comunisti speravano di riuscire a far spostare Mindszenty dall'Ungheria, con l'aiuto del Vaticano. Visto che questi tentativi fallirono, decisero di arrestarlo a Esztergom il 26 dicembre 1948. In un processo farsa, l'8 febbraio 1949, fu condannato all'ergastolo ma venne liberato durante la rivoluzione nel 1956. Il 4 novembre 1956 si rifugiò nell'ambasciata americana, dove restò fino al 1971, quando gli fu consentito di recarsi a Vienna. Nelle trattative ebbe un ruolo importante l'arcivescovo di Vienna, il cardinale Franz König.

Vilmos Apor nacque il 29 febbraio 1892 ad Alba Julia. Nel 1894 la famiglia si trasferì a Vienna dove Vilmos frequentò la scuola; successivamente completò i suoi studi tra l'Ungheria e l'Austria. Il 24 agosto 1915 venne ordinato sacerdote. Nell'agosto 1918 venne nominato parroco di Gyula: aveva 26 anni e fu il più giovane parroco d'Ungheria. Consacrato vescovo il 24 febbraio, prese possesso della diocesi il 2 marzo 1941. Nello stesso anno l'Ungheria entrò in guerra a fianco della Germania. Quando in Ungheria furono introdotte le leggi razziali, Apor prese posizione in favore delle vittime dell'ingiustizia e tentò tutto ciò che era in suo potere per proteggere gli abitanti della sua diocesi. Quando il 19 marzo 1944 le truppe tedesche invasero l'Ungheria, Apor condannò in cattedrale il razzismo antiebraico. Si oppose, in una lettera del 28 maggio 1944, diretta al ministro degli Interni, alla costruzione di un ghetto a Gyor, pur conoscendo le conseguenze a cui sarebbe andato incontro. Iniziata la deportazione in massa, creò gruppi di soccorso lungo il percorso dei convogli, salvando da morte migliaia di ebrei. Nel frattempo l'avanzata dell'Armata rossa era preceduta da terrificanti notizie circa il comportamento dei soldati. Egli aprì il suo palazzo a tutti coloro che cercavano rifugio.

Nel Natale del 1944, le truppe sovietiche iniziarono l'invasione, stuprando donne e uccidendo chiunque si opponesse. Il 28 marzo 1945, Mercoledì santo, Apor andò incontro ai primi soldati russi: li accolse con calma dichiarando che quanti si trovavano nel castello erano posti sotto la sua protezione. Non si allontanò dall'ingresso e vegliò giorno e notte per proteggere i trecento rifugiati. Verso la sera del Venerdì santo si presentarono all'ingresso dei sotterranei alcuni soldati russi, guidati da un maggiore, e cercarono di trascinare fuori le ragazze. Il vescovo si oppose e i soldati spararono, colpendolo con tre proiettili. Fu subito trasportato in ospedale dove, nonostante l'operazione, il 2 aprile 1945 morì. Il 9 novembre 1997, Vilmos Apor è stato proclamato beato da Papa Giovanni Paolo II.

La storia della Polonia è da sempre legata alla storia del cristianesimo. La Chiesa e la Nazione dovettero spesso dimostrare la loro forza contro il tragico destino degli ultimi secoli. La posizione geografica tra la Germania a Ovest e la Russia a Est ha spesso determinato la difficile storia del Paese. Il sistema comunista propagato dai Russi non ha trovato, nonostante grandi sforzi e persecuzioni d'ogni tipo, terreno fertile.

Nel 1944 con l'Armata rossa viene instaurato da Mosca un governo polacco comunista, imposto da Stalin. Quando arrivavano i soldati russi non c'era più salvezza per tutti coloro che non condividevano quella visione della società, fossero essi persone o istituzioni. Dopo la tragedia di Katyn, dove morirono 22.000 ufficiali polacchi, uccisi dai servizi segreti per ordine di Stalin, solo un piccolo gruppo della società polacca diede il benvenuto ai soldati russi, che liberarono il Paese dai nazionalisti tedeschi. Dopo milioni di morti nei campi di concentramento sul territorio polacco - organizzati da Berlino nel centro geografico del nuovo Reich per economizzare sui costi per l'annientamento di quelli che Adolf Hitler considerava popoli senza diritto alla vita - si passava adesso al criminale sistema dell'Unione Sovietica, con migliaia di campi di concentramento ben funzionanti anche dopo la seconda guerra mondiale. Mentre a Norimberga l'Unione Sovietica condannava i crimini di guerra commessi dalla Germania, milioni di persone vivevano e lavoravano in condizioni disumane nei numerosi Gulag in Siberia.

Dall'inizio, oltre all'intellighenzija del Paese, la Chiesa cattolica con i suoi sacerdoti costituiva un obiettivo primario del potere comunista. Questi, appena tornati da un campo di concentramento speciale a Dachau in Germania, dovettero subire altri atti di violenza da parte del nuovo governo. Non tutti i rappresentanti della Chiesa ebbero il coraggio di resistere ancora. Dalle recenti ricerche degli storici emerge che non tutti ebbero un comportamento eroico come Stanislaw Suchowolec un sacerdote di 31 anni, picchiato dagli agenti segreti e poi finito soffocato nella sua casa, alla quale qualcuno in una notte del 1989 aveva appiccato il fuoco. O come Stefan Niedzielak, un prete di 75 anni, rapito e ammazzato brutalmente a Varsavia. Un esempio particolare di fedeltà e coraggio è quello dimostrato da un giovane sacerdote, Jerzy Popieluszko, sequestrato dagli agenti dei servizi segreti dello Stato, torturato e infine gettato nella Vistola nel 1984. La lista dei sacerdoti polacchi perseguitati dai sevizi segreti del ministero degli Interni è lunga, anche se il vero numero delle persone discriminate probabilmente non si saprà mai: resteranno nella memoria solo i personaggi più famosi o quelli uccisi in odium fidei.

I grandi protagonisti della Chiesa in quel difficile periodo furono i cardinali Stefan Wyszynski a Varsavia e il futuro Papa, Karol Wojtyla, a Cracovia. L'apparato dello Stato, messo in movimento per controllare e frenare le attività della Chiesa, si mostra oggi, dopo la conoscenza di tanti dettagli, veramente impressionante. Alcuni nuovi aspetti li possiamo conoscere dai documenti del processo diocesano di beatificazione di Popieluszko. Per un lungo tempo la polizia segreta preparò una relazione giornaliera sullo stato delle attività della Chiesa. Queste relazioni finivano sui tavoli dei personaggi più importanti nel Paese, come il generale Wojciech Jaruzelski e i membri del comitato centrale del Partito comunista polacco e del governo. Le oppressioni contro la Chiesa cattolica vengono sistematizzate con una legge del 1962. In questo stesso anno Stefan Wyszynski, insieme con altri vescovi polacchi, pubblicò un'importante lettera pastorale contro l'ateismo. Dall'agosto del 1980 Popieluszko era diventato un leader del movimento dei lavoratori Solidarnosc, collaborando con numerosi oppositori del governo polacco e nello stesso momento un avversario del governo. Ben presto le sue parole divennero popolari e spesso ripetute in varie occasioni sindacali: "per rimanere un uomo libero bisogna vivere nella verità. Non ci possiamo far governare dalla menzogna".

Popieluszko svolse in questo difficile periodo per tutto il movimento Solidarnosc un'ampia opera di sostegno materiale e spirituale dei lavoratori e si mantenne in stretto contatto con gli intellettuali dell'opposizione e con le strutture clandestine di Solidarnosc. Le autorità politiche in Polonia temevano la sua influenza e si fecero sempre più frequenti le proteste alla Curia e al nuovo primate di Polonia, l'arcivescovo di Varsavia Józef Glemp.

Nel telegiornale del 20 ottobre tutta la Polonia seppe ufficialmente, grazie alle notizie raccontate da alcuni ben informati oppositori, che don Popieluszko era stato rapito. Nella chiesa di San Stanislao a Varsavia, dove abitava il sacerdote accorsero migliaia di persone a pregare per la sua libertà. Non si sapeva ancora che il sacerdote era già stato ucciso e che il suo corpo si trovava sul fondo del lago vicino a Wloclawek. Il 30 ottobre la stessa televisione polacca diffuse la notizia del ritrovamento del corpo di don Popieluszko.

Il cardinale Joseph Ratzinger ha visitato la sua tomba a Varsavia, nel prato verde presso la chiesa di San Stanislaw Kostka, il 25 maggio 2002. Sulla libro che raccoglie le frasi lasciate dalle persone che visitano la tomba dell'eroico sacerdote Ratzinger ha scritto in italiano le seguenti parole: "Il Signore benedica la Polonia, dando sacerdoti con lo spirito evangelico di Popieluszko". Dal 1984 circa diciotto milioni di pellegrini si sono recati a pregare su quella tomba.

Il processo di beatificazione di don Jerzy Popieluszko fu aperto l'8 febbraio 1997 a Varsavia. La fase diocesana durò 4 anni e furono raccolti numerosi documenti e interrogati 44 testimoni. Il 3 maggio 2001 ebbe inizio in Vaticano il processo super martyrio. Il 19 dicembre 2009 il Pontefice ha firmato il decreto del martirio del Servo di Dio don Jerzy Popieluszko. La beatificazione fu celebrata a Varsavia, sulla piazza centrale della città, il 6 giugno 2010. Le nuove generazioni dei giovani cattolici del mondo intero conosceranno il suo martirio per mano dei comunisti.

La Chiesa non solo è sopravvissuta alle sanguinose persecuzioni perpetrate dal regime comunista ma, grazie al sangue dei martiri, è stata rafforzata per affrontare con rinnovato vigore il XXI secolo. Talvolta i persecutori hanno potuto toglierle la voce, ma mai la memoria. E la memoria trasmessa di bocca in bocca diventa storia, e la storia rende sovente giustizia ai perseguitati. Sono uomini e donne, vecchi e bambini, laici e sacerdoti, spose e consacrate, zar e contadini. Ciascuno con un nome da ricordare. Perché è dovere di ogni cristiano fare memoria, e non solo della frazione del pane, che è il corpo di Cristo, ma anche della frazione di quel corpo mistico, che è la Chiesa.

(©L'Osservatore Romano - 29-30 novembre 2010)


domenica 28 novembre 2010

Terra Santa News, 26 novembre 2010


Terra Santa News - 26/11/2010


Amicizia Sacerdotale Summorum Pontificum - Esercizi spirituali per sacerdoti (6-12 febbraio 2011)


Amicizia Sacerdotale Summorum Pontificum
Esercizi Spirituali per Sacerdoti
predicati da P. Alessandro Apollonio dei
Frati Francescani dell'Immacolata
(6-12 febbraio 2011)

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL'ANGELUS - 28 novembre 2010


BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
I Domenica di Avvento, 28 novembre 2010

[Croato, Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]


Cari fratelli e sorelle!

Oggi, prima domenica di Avvento, la Chiesa inizia un nuovo Anno liturgico, un nuovo cammino di fede che, da una parte, fa memoria dell’evento di Gesù Cristo e, dall’altra, si apre al suo compimento finale. E proprio di questa duplice prospettiva vive il Tempo di Avvento, guardando sia alla prima venuta del Figlio di Dio, quando nacque dalla Vergine Maria, sia al suo ritorno glorioso, quando verrà “a giudicare i vivi e i morti”, come diciamo nel Credo. Su questo suggestivo tema dell’“attesa” vorrei ora brevemente soffermarmi, perché si tratta di un aspetto profondamente umano, in cui la fede diventa, per così dire, un tutt’uno con la nostra carne e il nostro cuore.

L’attesa, l’attendere è una dimensione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale. L’attesa è presente in mille situazioni, da quelle più piccole e banali fino alle più importanti, che ci coinvolgono totalmente e nel profondo. Pensiamo, tra queste, all’attesa di un figlio da parte di due sposi; a quella di un parente o di un amico che viene a visitarci da lontano; pensiamo, per un giovane, all’attesa dell’esito di un esame decisivo, o di un colloquio di lavoro; nelle relazioni affettive, all’attesa dell’incontro con la persona amata, della risposta ad una lettera, o dell’accoglimento di un perdono… Si potrebbe dire che l’uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l’uomo si riconosce: la nostra “statura” morale e spirituale si può misurare da ciò che attendiamo, da ciò in cui speriamo.

Preghiera per Vita
Ognuno di noi, dunque, specialmente in questo Tempo che ci prepara al Natale, può domandarsi: io, che cosa attendo? A che cosa, in questo momento della mia vita, è proteso il mio cuore? E questa stessa domanda si può porre a livello di famiglia, di comunità, di nazione. Che cosa attendiamo, insieme? Che cosa unisce le nostre aspirazioni, che cosa le accomuna? Nel tempo precedente la nascita di Gesù, era fortissima in Israele l’attesa del Messia, cioè di un Consacrato, discendente del re Davide, che avrebbe finalmente liberato il popolo da ogni schiavitù morale e politica e instaurato il Regno di Dio. Ma nessuno avrebbe mai immaginato che il Messia potesse nascere da un’umile ragazza quale era Maria, promessa sposa del giusto Giuseppe. Neppure lei lo avrebbe mai pensato, eppure nel suo cuore l’attesa del Salvatore era così grande, la sua fede e la sua speranza erano così ardenti, che Egli poté trovare in lei una madre degna. Del resto, Dio stesso l’aveva preparata, prima dei secoli. C’è una misteriosa corrispondenza tra l’attesa di Dio e quella di Maria, la creatura “piena di grazia”, totalmente trasparente al disegno d’amore dell’Altissimo. Impariamo da Lei, Donna dell’Avvento, a vivere i gesti quotidiani con uno spirito nuovo, con il sentimento di un’attesa profonda, che solo la venuta di Dio può colmare.


Dopo l'Angelus

En ce premier dimanche de l’Avent, chers pèlerins francophones, une nouvelle Année liturgique commence. Elle nous rappelle que Jésus Christ, éternellement présent dans notre vie, accomplit pour nous son œuvre de Rédemption dans les actions liturgiques de l’Église. En ces jours où nous prions particulièrement pour le respect de la vie naissante, puisse la Vierge Marie qui a accueilli en son sein le Verbe de Dieu, nous aider à ouvrir nos cœurs à la lumière de son Fils qui vient sauver l’humanité tout entière! Je souhaite à tous un bon dimanche et joyeux temps de l’Avent!

I offer a warm welcome to the English-speaking visitors gathered here today for this Angelus prayer. Today, Christians begin a new liturgical Year with the season of Advent, a time of preparation to celebrate the Mystery of the Incarnation. By the grace of God, may our prayer, penance and good works in this season make us truly ready to see the Lord face to face. Upon you and your families I invoke God’s gifts of wisdom, strength and peace!

Ein herzliches „Grüß Gott“ sage ich den Pilgern und Besuchern aus den Ländern deutscher Sprache. Mit dem heutigen Sonntag treten wir in die Adventszeit ein. Dies ist eine heilige Zeit des Wartens auf die Begegnung mit Christus, dem Heiland. Er sehnt sich danach, einer Welt, die immer wieder von Leid gezeichnet ist, Heilung, Frieden und Liebe zu schenken. Öffnen wir unser Herz, bereiten wir uns durch den Empfang der Sakramente vor, daß der Heiland und König der Liebe in uns Wohnung nehmen kann.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, así como a quienes se unen a ella a través de la radio y la televisión. Al iniciar el santo tiempo de Adviento, invito a todos a intensificar la oración y la meditación de la Palabra de Dios, para que se avive el deseo de salir al encuentro de Cristo, cuya primera venida recordamos con gozo, mientras nos preparamos a su segunda venida, al final de los tiempos, con atenta vigilancia y ardiente caridad. Que a ello nos ayude la amorosa protección de María Santísima, Virgen y Madre. Feliz Domingo.

Pozdrawiam wszystkich Polaków. Wczoraj, Nieszporami i czuwaniem w intencji poczętego ludzkiego życia rozpoczęliśmy Adwent: czas przygotowania do świąt Bożego Narodzenia. Razem z Maryją, która z miłością oczekiwała narodzin Bożego Dziecięcia trwajmy na modlitwie, dziękując Bogu za dar życia, prosząc o opiekę nad każdym ludzkim istnieniem. Niech przyszłością świata stanie się cywilizacja miłości i życia. Z serca wam błogosławię, a szczególnie rodzicom oczekującym potomstwa.

[Saluto tutti i Polacchi. Ieri, con i Vespri e con la veglia di preghiera per la vita nascente, abbiamo iniziato l’Avvento: il tempo di preparazione alla festa del Natale del Signore. Insieme a Maria, che ha atteso con amore la nascita del Divino Bambino, perseveriamo nella preghiera, ringraziando Dio per il dono della vita, chiedendoGli protezione su ogni esistenza umana. Possa il futuro del mondo diventare la civiltà dell’amore e della vita. Benedico di cuore tutti voi e, in modo particolare, i genitori in attesa dei figli.]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i ragazzi dell’Unità Pastorale di Lesmo, presso Milano, che si preparano alla Professione di Fede. A tutti auguro una serena domenica e un buon cammino di Avvento. Grazie, buon Avvento a tutti!

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana



PREGHIERA PER LA VITA di S.S. Benedetto XVI


Signore Gesù,
che fedelmente visiti e colmi con la tua Presenza
la Chiesa e la storia degli uomini;
che nel mirabile Sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue
ci rendi partecipi della Vita divina
e ci fai pregustare la gioia della Vita eterna;
noi ti adoriamo e ti benediciamo.

Prostràti dinanzi a Te, sorgente e amante della vita
realmente presente e vivo in mezzo a noi, ti supplichiamo.

Ridesta in noi il rispetto per ogni vita umana nascente,
rendici capaci di scorgere nel frutto del grembo materno
la mirabile opera del Creatore,
disponi i nostri cuori alla generosa accoglienza di ogni bambino
che si affaccia alla vita.

Benedici le famiglie,
santifica l'unione degli sposi,
rendi fecondo il loro amore.

Accompagna con la luce del tuo Spirito
le scelte delle assemblee legislative,
perché i popoli e le nazioni riconoscano e rispettino
la sacralità della vita, di ogni vita umana.

Guida l'opera degli scienziati e dei medici,
perché il progresso contribuisca al bene integrale della persona
e nessuno patisca soppressione e ingiustizia.

Dona carità creativa agli amministratori e agli economisti,
perché sappiano intuire e promuovere condizioni sufficienti
affinché le giovani famiglie possano serenamente aprirsi
alla nascita di nuovi figli.

Consola le coppie di sposi che soffrono
a causa dell'impossibilità ad avere figli,
e nella tua bontà provvedi.

Educa tutti a prendersi cura dei bambini orfani o abbandonati,
perché possano sperimentare il calore della tua Carità,
la consolazione del tuo Cuore divino.

Con Maria tua Madre, la grande credente,
nel cui grembo hai assunto la nostra natura umana,
attendiamo da Te, unico nostro vero Bene e Salvatore,
la forza di amare e servire la vita,
in attesa di vivere sempre in Te,
nella Comunione della Trinità Beata. Amen.

Benedictus PP. XVI

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana


Novena della Immacolata - Chiesa dei Frati Cappuccini di Sestri Levante GE

 


Novena della Immacolata
Chiesa dei Frati Cappuccini di Sestri Levante GE

 

sabato 27 novembre 2010

Benedetto XVI alla Celebrazione dei Vespri per l'inizio del tempo di Avvento (27 novembre 2010)


OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Sabato, 27 novembre 2010

Libretto della celebrazione

[Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]


Cari fratelli e sorelle,

con questa celebrazione vespertina, il Signore ci dona la grazia e la gioia di aprire il nuovo Anno Liturgico iniziando dalla sua prima tappa: l’Avvento, il periodo che fa memoria della venuta di Dio fra noi. Ogni inizio porta in sé una grazia particolare, perché benedetto dal Signore. In questo Avvento ci sarà dato, ancora una volta, di fare esperienza della vicinanza di Colui che ha creato il mondo, che orienta la storia e che si è preso cura di noi giungendo fino al culmine della sua condiscendenza con il farsi uomo. Proprio il mistero grande e affascinante del Dio con noi, anzi del Dio che si fa uno di noi, è quanto celebreremo nelle prossime settimane camminando verso il santo Natale. Durante il tempo di Avvento sentiremo la Chiesa che ci prende per mano e, ad immagine di Maria Santissima, esprime la sua maternità facendoci sperimentare l’attesa gioiosa della venuta del Signore, che tutti ci abbraccia nel suo amore che salva e consola.


Mentre i nostri cuori si protendono verso la celebrazione annuale della nascita di Cristo, la liturgia della Chiesa orienta il nostro sguardo alla meta definitiva: l’incontro con il Signore che verrà nello splendore della sua gloria. Per questo noi che, in ogni Eucaristia, “annunciamo la sua morte, proclamiamo la sua risurrezione nell’attesa della sua venuta”, vigiliamo in preghiera. La liturgia non si stanca di incoraggiarci e di sostenerci, ponendo sulle nostre labbra, nei giorni di Avvento, il grido con il quale si chiude l’intera Sacra Scrittura, nell’ultima pagina dell’Apocalisse di san Giovanni: “Vieni, Signore Gesù!” (22,20).

Cari fratelli e sorelle, il nostro radunarci questa sera per iniziare il cammino di Avvento si arricchisce di un altro importante motivo: con tutta la Chiesa, vogliamo celebrare solennemente una veglia di preghiera per la vita nascente. Desidero esprimere il mio ringraziamento a tutti coloro che hanno aderito a questo invito e a quanti si dedicano in modo specifico ad accogliere e custodire la vita umana nelle diverse situazioni di fragilità, in particolare ai suoi inizi e nei suoi primi passi. Proprio l’inizio dell’Anno Liturgico ci fa vivere nuovamente l’attesa di Dio che si fa carne nel grembo della Vergine Maria, di Dio che si fa piccolo, diventa bambino; ci parla della venuta di un Dio vicino, che ha voluto ripercorrere la vita dell’uomo, fin dagli inizi, e questo per salvarla totalmente, in pienezza. E così il mistero dell’Incarnazione del Signore e l’inizio della vita umana sono intimamente e armonicamente connessi tra loro entro l’unico disegno salvifico di Dio, Signore della vita di tutti e di ciascuno. L’Incarnazione ci rivela con intensa luce e in modo sorprendente che ogni vita umana ha una dignità altissima, incomparabile.



Preghiera per la vita
 L’uomo presenta un’originalità inconfondibile rispetto a tutti gli altri esseri viventi che popolano la terra. Si presenta come soggetto unico e singolare, dotato di intelligenza e volontà libera, oltre che composto di realtà materiale. Vive simultaneamente e inscindibilmente nella dimensione spirituale e nella dimensione corporea. Lo suggerisce anche il testo della Prima Lettera ai Tessalonicesi che è stato proclamato: “Il Dio della pace – scrive san Paolo – vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo” (5,23). Siamo dunque spirito, anima e corpo. Siamo parte di questo mondo, legati alle possibilità e ai limiti della condizione materiale; nello stesso tempo siamo aperti su un orizzonte infinito, capaci di dialogare con Dio e di accoglierlo in noi. Operiamo nelle realtà terrene e attraverso di esse possiamo percepire la presenza di Dio e tendere a Lui, verità, bontà e bellezza assoluta. Assaporiamo frammenti di vita e di felicità e aneliamo alla pienezza totale.

Dio ci ama in modo profondo, totale, senza distinzioni; ci chiama all’amicizia con Lui; ci rende partecipi di una realtà al di sopra di ogni immaginazione e di ogni pensiero e parola: la sua stessa vita divina. Con commozione e gratitudine prendiamo coscienza del valore, della dignità incomparabile di ogni persona umana e della grande responsabilità che abbiamo verso tutti. “Cristo, che è il nuovo Adamo – afferma il Concilio Vaticano II – proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione ... Con la sua incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (Cost. Gaudium et spes, 22).


Credere in Gesù Cristo comporta anche avere uno sguardo nuovo sull’uomo, uno sguardo di fiducia, di speranza. Del resto l’esperienza stessa e la retta ragione attestano che l’essere umano è un soggetto capace di intendere e di volere, autocosciente e libero, irripetibile e insostituibile, vertice di tutte le realtà terrene, che esige di essere riconosciuto come valore in se stesso e merita di essere accolto sempre con rispetto e amore. Egli ha il diritto di non essere trattato come un oggetto da possedere o come una cosa che si può manipolare a piacimento, di non essere ridotto a puro strumento a vantaggio di altri e dei loro interessi. La persona è un bene in se stessa e occorre cercare sempre il suo sviluppo integrale. L’amore verso tutti, poi, se è sincero, tende spontaneamente a diventare attenzione preferenziale per i più deboli e i più poveri. Su questa linea si colloca la sollecitudine della Chiesa per la vita nascente, la più fragile, la più minacciata dall’egoismo degli adulti e dall’oscuramento delle coscienze. La Chiesa continuamente ribadisce quanto ha dichiarato il Concilio Vaticano II contro l’aborto e ogni violazione della vita nascente: “La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura” (ibid., n. 51).

Ci sono tendenze culturali che cercano di anestetizzare le coscienze con motivazioni pretestuose. Riguardo all’embrione nel grembo materno, la scienza stessa ne mette in evidenza l’autonomia capace d’interazione con la madre, il coordinamento dei processi biologici, la continuità dello sviluppo, la crescente complessità dell’organismo. Non si tratta di un cumulo di materiale biologico, ma di un nuovo essere vivente, dinamico e meravigliosamente ordinato, un nuovo individuo della specie umana. Così è stato Gesù nel grembo di Maria; così è stato per ognuno di noi, nel grembo della madre. Con l’antico autore cristiano Tertulliano possiamo affermare: “E’ già un uomo colui che lo sarà” (Apologetico, IX, 8); non c’è alcuna ragione per non considerarlo persona fin dal concepimento.


Purtroppo, anche dopo la nascita, la vita dei bambini continua ad essere esposta all’abbandono, alla fame, alla miseria, alla malattia, agli abusi, alla violenza, allo sfruttamento. Le molteplici violazioni dei loro diritti che si commettono nel mondo feriscono dolorosamente la coscienza di ogni uomo di buona volontà. Davanti al triste panorama delle ingiustizie commesse contro la vita dell’uomo, prima e dopo la nascita, faccio mio l’appassionato appello del Papa Giovanni Paolo II alla responsabilità di tutti e di ciascuno: “Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità” (Enc. Evangelium vitae, 5). Esorto i protagonisti della politica, dell’economia e della comunicazione sociale a fare quanto è nelle loro possibilità, per promuovere una cultura sempre rispettosa della vita umana, per procurare condizioni favorevoli e reti di sostegno all’accoglienza e allo sviluppo di essa.

Alla Vergine Maria, che ha accolto il Figlio di Dio fatto uomo con la sua fede, con il suo grembo materno, con la cura premurosa, con l’accompagnamento solidale e vibrante di amore, affidiamo la preghiera e l’impegno a favore della vita nascente. Lo facciamo nella liturgia - che è il luogo dove viviamo la verità e dove la verità vive con noi - adorando la divina Eucaristia, in cui contempliamo il Corpo di Cristo, quel Corpo che prese carne da Maria per opera dello Spirito Santo, e da lei nacque a Betlemme, per la nostra salvezza. Ave, verum Corpus, natum de Maria Virgine! Amen.

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana




Il 28 novembre il gesuita Roberto Busa compie 97 anni di Stefano Lorenzetto


Il 28 novembre il gesuita Roberto Busa compie 97 anni

Ibm?
International Busa machines

Al computer nato per far di conto ha insegnato l'arte della scrittura


di Stefano Lorenzetto

Ora che sta per compiere 97 anni, l'uomo che insegnò ai computer l'arte della scrittura non è più capace di ragionare in frazioni di millisecondo. A ogni domanda si porta le mani giunte davanti alla bocca, guarda verso l'infinito, medita a lungo. Ma la sua mente obbedisce ancora al linguaggio binario, perché articola ogni risposta per punti, dicendo "primo", poi "secondo", mai "terzo", e intanto conta sulle dita partendo dal mignolo per arrivare al pollice, come fanno gli americani. Non c'è una parola, fra quelle che gli escono dalle labbra, che sia superflua o pronunciata a casaccio.

Se esiste una santità tecnologica, credo d'averla incontrata: ha il volto di padre Roberto Busa, gesuita. Perciò inginòcchiati anche tu, lettore, davanti a questo vecchio prete, linguista, filosofo e informatico, che ebbe per compagno di seminario Albino Luciani, il futuro Giovanni Paolo i. Se navighi in Internet, lo devi a lui. Se saltabecchi da un sito all'altro cliccando sui link sottolineati di colore blu, lo devi a lui. Se usi il pc per scrivere mail e documenti di testo, lo devi a lui. Se puoi leggere questo articolo, lo devi, lo dobbiamo, a lui.

Era nato solo per far di conto, il computer, dall'inglese to compute, calcolare, computare. Ma padre Busa gli insufflò nelle narici il dono della parola. Accadde nel 1949. Il gesuita s'era messo in mente di analizzare l'opera omnia di san Tommaso: 1,5 milioni di righe, 9 milioni di parole (contro le appena 100.000 della Divina Commedia). Aveva già compilato a mano 10.000 schede solo per inventariare la preposizione "in", che egli giudicava portante dal punto di vista filosofico. Cercava, senza trovarlo, un modo per mettere in connessione i singoli frammenti del pensiero dell'Aquinate e per confrontarli con altre fonti.

In viaggio negli Stati Uniti, chiese udienza a Thomas Watson, fondatore dell'Ibm. Il vecchio magnate lo ricevette nel suo ufficio di New York. Nell'ascoltare la richiesta del sacerdote italiano, scosse la testa: "Non è possibile far eseguire alle macchine quello che mi sta chiedendo. Lei pretende d'essere più americano di noi". Padre Busa allora estrasse dalla tasca un cartellino trovato su una scrivania, recante il motto della multinazionale coniato dal boss - Think ("pensa") - e la frase "Il difficile lo facciamo subito, l'impossibile richiede un po' più di tempo". Lo restituì a Watson con un moto di delusione. Il presidente dell'Ibm, punto sul vivo, ribatté: "E va bene, padre. Ci proveremo. Ma a una condizione: mi prometta che lei non cambierà Ibm, acronimo di International business machines, in International Busa machines".

È da questa sfida fra due geni che nacque l'ipertesto, quell'insieme strutturato di informazioni unite fra loro da collegamenti dinamici consultabili sul computer con un colpo di mouse. Me lo conferma Alberto Cavicchiolo, psicanalista, tra i fondatori di Spirali, la casa editrice di padre Busa che ha pubblicato tra gli altri il libro Quodlibet. Briciole del mio mulino. Spiega Cavicchiolo, uno degli amici più vicini al pensatore della Compagnia di Gesù: "Il termine hypertext fu coniato da Ted Nelson nel 1965 per ipotizzare un sistema software in grado di memorizzare i percorsi compiuti da un lettore. Per ammissione dello stesso autore di Literary Machines, l'idea risaliva però a prima dell'invenzione del computer. E come ha ben documentato Antonio Zoppetti, studioso di linguistica e informatica, chi davvero operò sull'ipertesto, con almeno 15 anni d'anticipo su Nelson, fu proprio padre Busa".

Insomma, il gesuita prossimo al secolo di vita incarna il primo esempio documentabile nella storia dell'uomo di utilizzo del computer per l'analisi linguistica. I suoi esperimenti, ai quali fece in tempo ad assistere padre Agostino Gemelli, il fondatore dell'Università Cattolica ridotto in sedia a rotelle, hanno trovato compimento nell'Index Thomisticus che padre Busa ha realizzato fra Pisa, Boulder (Colorado) e Venezia, un'impresa titanica che ha richiesto 1,8 milioni di ore, grosso modo il lavoro di un uomo per 1.000 anni a orario sindacale, e che oggi è disponibile su Cd-rom e su carta: occupa 56 volumi, per un totale di 70.000 pagine. A partire dal primo tomo, uscito nel 1951, il religioso ha catalogato tutte le parole contenute nei 118 libri di san Tommaso e di altri 61 autori.

Non c'è congresso scientifico o comunità accademica al mondo dove, all'udire il nome di padre Busa, non ci si alzi rispettosamente in piedi. La sua ultima creatura è stato un consorzio tra sei università (Sapienza, Gregoriana, Salesiani, Domenicani, Opus Dei, Servi di Maria, Laterano) per la creazione del lessico tomistico biculturale, patrocinato dall'ex governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, grande cultore di san Tommaso, e da Hans Tietmeyer e Michel Camdessus, ex presidenti della Deutsche Bundesbank e del Fondo monetario internazionale. Una sua ammiratrice, Francesca Bruni, presidente di Art Valley, istituto che promuove lo scambio tra arte e tecnologie, ha lanciato su Facebook un gruppo al quale si sono subito iscritti oltre 150 studiosi di tutto il mondo.

Dal 1995 al 2000 padre Busa ha insegnato al Politecnico di Milano nei corsi di intelligenza artificiale e robotica. In precedenza era stato per lunghi anni docente alla Pontificia Università Gregoriana e alla Cattolica. Adesso vive ritirato all'Aloisianum, un monumentale istituto di Gallarate, dove pure ha insegnato, donato ai gesuiti negli anni Trenta dalla contessa Rosa Piantanida Bassetti Ottolini, la fondatrice dell'omonima industria tessile che padre Busa conobbe personalmente. Nella casa di riposo per anziani sacerdoti è ospitato anche uno dei più cari amici dello studioso quasi centenario: il cardinale Carlo Maria Martini, già arcivescovo di Milano.

Se dovesse stendere una voce enciclopedica su padre Roberto Busa, che cosa scriverebbe?

Quante righe?

Cinque, dieci. Decida lei.

Facciamo una sola: "Pioniere dell'informatica linguistica". L'informatica era stata concepita per i numeri. Io ho pensato di applicarla alle parole.

Almeno aggiungiamo dov'è nato.

A Vicenza. Ma siamo originari di Lusiana, sull'altopiano di Asiago, più precisamente della contrada Busa, donde il cognome. Mio padre era capostazione. Ci trasferivamo da una città all'altra: Genova, Bolzano, Verona. Nel 1928 approdammo a Belluno e lì entrai in seminario. Ero in classe con Albino Luciani. In camerata il mio era l'ultimo letto della fila, dopo quelli di Albino e di Dante Cassoli. Niente riscaldamento. Sveglia alle 5.30. Ai piedi del letto c'era il catino con la brocca. Dovevamo rompere l'acqua ghiacciata. In quei cinque minuti perdevo la vocazione. Dicevo fra me: no, l'acqua gelata no, voglio tornare dalla mamma che me la scalda sulla stufa. Mezz'ora per lavarci, vestirci e rifare il giaciglio. Albino se la sbrigava in 10 minuti e impiegava gli altri 20 a leggere le opere devozionali di Jean Croiset, gesuita francese del Seicento, e le commedie di Carlo Goldoni.

L'unico dei sette pontefici della sua vita al quale abbia potuto dare del tu.

Fino all'ultimo. Confidenza che non mi sarei mai permesso con Papa Montini e Papa Wojtyla, nonostante i nostri contatti frequenti e cordiali. All'elezione di Giovanni Paolo i i giornali scrissero che era stato scelto un parroco di campagna. Pensai: ve ne accorgerete quando tirerà fuori le unghie. Purtroppo il Signore ce l'ha lasciato solo per 33 giorni. Lo sa che don Albino m'invidiava?.

La invidiava?

Sì, perché io ero diventato gesuita e lui no. Avrebbe voluto fare il missionario come i primi compagni di sant'Ignazio di Loyola. Ma il vescovo Giosuè Cattarossi non glielo permise. A dire il vero anch'io, dopo essere diventato gesuita, sognavo di partire per l'India. Invece il superiore provinciale mi chiese a bruciapelo: "Le piacerebbe fare il professore?". No, risposi. E lui: "Ottimo. Lo farà lo stesso". Fui spedito alla Gregoriana per una libera docenza in filosofia su san Tommaso d'Aquino.

E se invece il suo vescovo l'avesse mandata a fare il curato in un paesino di montagna, ci sarebbe andato volentieri?

Certamente. Fu come se mi fosse stato impartito l'avanti marsc'! Il militare riceve l'ordine di raggiungere Roma e poi, arrivato nella capitale, segna il passo in attesa di nuove disposizioni. Così è stato per me: mi hanno ordinato di studiare san Tommaso, sono partito e non ho più smesso.

Che cos'ha di speciale la figura di questo dottore della Chiesa?

San Tommaso è il riassunto della civiltà cristiana. Non a caso ho dovuto lavorare su 20 milioni di parole sue e di altri autori, in 18 lingue che adoperano 8 diversi alfabeti.

Immagino che lei sia poliglotta.

Sa che non me lo ricordo più? Sui miei temi, oltre che in italiano, latino, greco ed ebraico, posso senz'altro improvvisare anche in francese, inglese, spagnolo, tedesco. Mi sono dovuto arrangiare con i rotoli di Qumrân, che sono scritti in ebraico, aramaico e nabateo, con tutto il Corano in arabo, col cirillico, col finnico, col boemo, col georgiano, con l'albanese. A volte mi lamento col mio Principale, dicendogli: Signore, sembra che tu abbia concepito il mondo come un'aula d'esame. E Lui mi risponde: "Ho lasciato che gli uomini facessero ciò che vogliono. Se fanno il bene, avranno il bene; se fanno il male, avranno il male".

Come le venne l'idea di trascinare in quest'avventura l'Ibm, creando le premesse per la creazione dei collegamenti ipertestuali che oggi sono alla base del Web?

Lucia Crespi Ferrario, proprietaria della tintoria Giovanni Crespi di Busto Arsizio, volle regalare al figlio Giulio, quindicenne, un viaggio di quattro mesi negli Stati Uniti. Mi chiese se fossi disposto ad accompagnare il ragazzo. Accettai. E là decisi d'interpellare Watson. Il primo passo della nostra collaborazione fu creare un archivio di 12 milioni di schede perforate, che riempirono una fila di armadi lunga 90 metri per un peso complessivo di 500 tonnellate. Pensi che a quei tempi un elaboratore Ibm impiegava un'ora per mettere in ordine alfabetico 20.000 parole, una velocità che oggi fa sorridere. Il secondo passo furono i nastri magnetici, un gregge piuttosto difficile da pascere: ne avevo 1.800, che uniti fra loro raggiungevano i 1.500 chilometri. Infine sono giunto al Cd-rom e ai 56 volumi dell'Index Thomisticus. La vita è un safari: si sa da dove si parte, ma non che cosa s'incontrerà.

Qual è il senso di un'analisi linguistica sull'opera omnia di san Tommaso?

La critica del pensiero si fa dal suo interno. Non bisogna confutare un libro, ma analizzare se quello che dice è coerente con la logica di cui si serve per dirlo. In tutti questi anni mi sono passate accanto migliaia di persone, diverse per lingua, colore della pelle, età, religione, cultura, eppure mai quella logica, intravista fin dall'inizio, ha mostrato crepe. Nel poco tempo libero ho applicato lo stesso metodo anche a Jacques Monod e a Stephen Hawking. Fui persino invitato a Mosca per lavorare sui testi di Lenin. La logica ci è stata donata per arrivare a comprendere il perché di ogni cosa. Come mai nel vocabolario dell'umanità, a ogni latitudine, figurano le parole "prima" e "sempre"? Io ci leggo la storia delle anime nel fluire del tempo. Dall'eternità verso l'eternità. Si arriva alla logica come prima luce dell'anima. Ci ho riflettuto molto dopo che un artigiano mi disse questa frase: "La maggior parte delle persone non sa dove va, ma ci sta andando di corsa".

Fosse nato mille anni fa sarebbe diventato un amanuense, l'avrebbero messa a scrivere codici miniati.

Il mio mulino sono io. Neanche Dio, che pure ha inventato padre Busa, può affermare d'essere padre Busa. Ogni uomo è una macchina che elabora informazioni per tutto il corso della vita. Nasciamo senza saperlo né volerlo in un corpo che è un mulinare di materia cosmica in continuo cambiamento, soggetta alle modificazioni ambientali. Dentro questo corpo si sveglia la coscienza dell'io, che comincia a manovrare qualche leva e impara a cimentarsi in quella corsa a ostacoli che è il vivere di ciascuno.

La vista di un moderno computer che cosa le fa venire in mente?

I miei antenati agricoltori e boscaioli che per generazioni hanno faticato sulla terra.

Che cosa pensa di Internet?

Primo: ne penso un gran bene. Secondo: non lo uso per pigrizia. Lascio che lo faccia per me questa signora. (Indica con un sorriso Danila Cairati Del Bianco, sua segretaria).

Una decina d'anni fa lei dichiarò: "Dio guarda ai computer come un nonno guarda ai nipotini". Lo crede ancora?

Il paragone è riduttivo ai limiti dell'insolenza. Una mente che sappia scrivere programmi è certamente intelligente. Ma una mente che sappia scrivere programmi i quali ne scrivano altri si situa a un livello superiore di intelligenza. Il cosmo non è che un gigantesco computer. Il Programmatore ne è anche l'autore e il produttore. Noi Dio lo chiamiamo Mistero perché nei circuiti dell'affaccendarsi quotidiano non riusciamo a incontrarlo. Ma i Vangeli ci assicurano che duemila anni fa scese dal cielo.

Perché l'uomo moderno ha quasi completamente smarrito la dimensione verticale, guarda solo all'oggi, senza alcuna prospettiva di eternità?

Un po' difficile come domanda. In termini banali direi: per stupidità. Le vie del cielo sono un salire e non un lasciarsi andare.

Il peccato peggiore qual è?

La superbia.

Non la vanità?

La vanità è una bambinata.

Nella vita ha più pregato o più studiato?

Direi più studiato.

E si sente in colpa per questo?

No, proprio no.

Come s'immagina il paradiso?

Come il cuore di Dio. Immenso. Guardi che aspetto anche lei in paradiso, mi raccomando. (Si volta verso il fotografo). Anche lei. E se tardate, come mi auguro, mi troverete seduto sulla porta così. (Incrocia le mani e comincia a girarsi i pollici). Non arrivano mai, quei macachi.

(©L'Osservatore Romano - 28 novembre 2010)