lunedì 17 gennaio 2011

Celerità e rigore nella causa di beatificazione di Giovanni Paolo II (di Nicola Gori)


A colloquio con il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi

Celerità e rigore nella causa
di beatificazione di Giovanni Paolo II


di Nicola Gori

Accuratezza, scrupolosità, professionalità: sono queste le modalità con le quali è stato condotto l'iter della causa di beatificazione di Giovanni Paolo II. Se da un lato, la sua beatificazione arriva a tempo di record, dall'altro non sono stati fatti sconti nelle procedure previste dalla normativa canonica. Si è trattato solo di una corsia preferenziale - concessa dallo stesso Benedetto XVI - che ha permesso di accelerare i tempi. Tra la morte di Giovanni Paolo II e la celebrazione di beatificazione del 1° maggio, infatti, passeranno sei anni e 29 giorni. Certamente, per il popolo di Dio la santità di Papa Wojtyla non è mai stata messa in discussione. E sono state proprio la fama di santità e la fama dei segni ad accompagnare e sostenere tutto l'iter processuale. È quanto spiega in questa intervista al nostro giornale il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.

Questa causa si è conclusa quasi a tempo di record. La rapidità non è andata a scapito del rigore e dell'accuratezza, non tanto procedurale, quanto nel possibile giudizio di un personaggio complesso?

È vero che la causa è stata molto veloce, però ha avuto due facilitazioni. La prima è stata il fatto che Benedetto XVI ha subito concesso la dispensa dai cinque anni di attesa prescritti. Quindi la causa ha avuto inizio quasi immediatamente dopo la morte di Giovanni Paolo II. La seconda è stata una sorta di corsia preferenziale: avendo avuto la deroga, la causa si è trovata senza una lista d'attesa davanti, per cui ha potuto procedere senza l'impedimento di altri procedimenti in corso. L'accuratezza, che è stata massima, si è sposata con una grande sollecitudine, una grande professionalità da parte della postulazione nel preparare la cosiddetta Positio sull'esercizio eroico delle virtù e sulla vita, e nel preparare anche le risposte a eventuali obiezioni. Tutto questo è stato eseguito con grande scrupolo dalla postulazione, per cui il 19 dicembre 2009 il Papa ha potuto firmare il decreto sulle virtù eroiche. Poi è iniziato l'esame del miracolo, che era già stato depositato in congregazione, anche se non si poteva procedere al suo esame senza aver prima assicurato il decreto sull'eroicità delle virtù. Il miracolo è stato studiato con grande attenzione, direi con pignoleria, anche perché su di esso c'era una grande pressione mediatica. I medici, sia francesi, sia italiani, non hanno in alcun modo affrettato i tempi e hanno sottoposto tutto a un attento approfondimento. Abbiamo lasciato la stessa libertà alla nostra consulta medica, affinché i periti potessero procedere secondo la loro coscienza e la loro scienza. Da parte sua, la postulazione ha sempre risposto tempestivamente alle nostre sollecitazioni. Non avendo davanti altre cause, abbiamo subito avuto accesso sia alla consulta medica, sia a quella dei teologi e sia all'ordinaria dei vescovi e dei cardinali. La celerità della causa non è stata a scapito né dell'accuratezza dell'iter procedurale, né della professionalità nel presentare il personaggio. Del resto, la fama di santità era talmente diffusa e accertata che il nostro compito è stato agevolato.

Il riconoscimento del miracolo è avvenuto in modo lineare o è stato contrastato?

È avvenuto in modo lineare, secondo le tappe e la dinamica di questi procedimenti. Sui pareri degli specialisti e degli scienziati della consulta medica la Congregazione non interviene, ma li rispetta del tutto. Dopo il via libera della consulta medica si è passati all'esame dei consultori teologi e poi, infine, dell'ordinaria dei cardinali e dei vescovi.

Qual è stato il miracolo?

Nello specifico si tratta della guarigione dal morbo di Parkinson della suora francese Marie Simon Pierre Normand, religiosa dell'Institut des petites soeurs des maternités catholiques. La malattia le fu diagnosticata nel 2001 dal medico curante e successivamente da altri specialisti. La suora ricevette le cure relative, che ovviamente più che guarirla ne attenuavano solo in parte i dolori. Alla notizia della scomparsa di Papa Wojtyla, suor Marie e le consorelle iniziarono a invocare la sua intercessione per la guarigione. Il 2 giugno 2005, stanca e oppressa dai dolori, la religiosa manifestò alla superiora l'intenzione di essere esonerata dal lavoro professionale di infermiera. La stessa superiora la invitò a confidare nell'intercessione di Giovanni Paolo II e a pregare. La suora passò una notte tranquilla. Al risveglio si sentì guarita. Erano scomparsi i dolori e non avvertiva alcun irrigidimento nelle articolazioni. Era il 3 giugno 2005, solennità del Sacro Cuore di Gesù. Suor Marie interruppe subit
o le cure e si recò dal medico curante il quale ne constatò la guarigione.

La religiosa miracolata era malata di Parkinson, la stessa malattia di Giovanni Paolo II. Che lettura teologica possiamo dare di questa coincidenza?

Anche io ho notato la correlazione. E la stessa suora l'ha fatto. Quando scomparve Giovanni Paolo II, suor Marie rimase molto scossa vedendo che era morto della sua stessa malattia. E pensò che forse il Papa defunto avrebbe potuto aiutarla conoscendo la gravità del male.

Durante il processo tutti i testimoni interpellati sono stati concordi nell'evidenziare le virtù di Karol Wojtyla o ci sono state voci dissonanti?

Per diritto, per prassi e anche secondo la nostra normativa, il postulatore deve interrogare sia i testi a favore, sia i testi contro. Da questo punto di vista, la postulazione ha fatto un buon lavoro per dissipare tutte le ombre. Come ho detto nella mia prolusione all'apertura dello Studium, il lavoro dei postulatori è estremamente serio e deve essere fatto in maniera scrupolosa, perché svolgono una forma particolare di collaborazione con il Papa nel suo magistero ordinario.

È la prima volta che un Pontefice beatifica un suo predecessore negli ultimi dieci secoli: che significato ha questa circostanza?

È un significato di continuità, non solo nel magistero, ma anche nella santificazione personale. Del resto, in questi ultimi due secoli abbiamo una serie di vescovi di Roma dei quali è stata riconosciuta la santità, sia pure in gradi diversi: Pio X, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I. Pontefici che si sono passati il testimone non solo del magistero e della guida della Chiesa, ma anche dell'esempio nella santificazione.

Il sensum fidelium del popolo di Dio già aveva decretato la santità di Giovanni Paolo II. L'iter canonico della causa ha risentito di questa pressione?

Io non direi pressione: piuttosto, accompagnamento. Il sensum fidelium è quello che noi chiamiamo, in termine tecnico, la fama di santità e di segni, che è indispensabile per una causa. Un procedimento non può essere portato a termine se non c'è questo accompagnamento da parte dei fedeli, la fama di santità della figura del servo di Dio e la fama dei segni. In altre parole, il popolo ricorre al servo di Dio per avere delle grazie. E questo c'è stato. "Santo subito" è una cosa buona, ma deve essere "santo sicuro", perché la fretta non porta buoni frutti.

La beatificazione di Giovanni Paolo II mette fine alla ricerca storica sugli atti e sulla portata del suo pontificato?

No, assolutamente. Pensiamo a Gregorio VII, Pio V, Sisto V, Benedetto XIV. I loro pontificati sono sottoposti a una continua indagine e revisione storica. La storia non è mai conclusa. Gli atti di governo possono essere sempre studiati, arricchiti di altre interpretazioni. I teologi tengono conto di tutti i documenti, ma nel caso di Giovanni Paolo II non è stato trovato niente di problematico.

Cosa si può rispondere a quanti sollevano dubbi sull'opportunità di una beatificazione così rapida di un Pontefice?

Non si tratta di una beatificazione rapida. L'iter ha rispettato tutti i crismi del processo, così come vengono applicati anche alle altre cause. Le facilitazioni di cui parlavo prima hanno permesso questa accelerazione dell'iter. Credo che sia stato opportuno, perché l'ondata di commozione suscitata dentro e fuori la Chiesa per la morte di Giovanni Paolo II ha rivelato come il mondo guardasse a questo Papa con una simpatia e un amore straordinari. E sono convinto che egli meritasse questo sentimento.

C'è già un miracolo allo studio per la canonizzazione?

Ho raccomandato più volte al postulatore che per il nuovo miracolo non si verifichi la stessa sovraesposizione mediatica avvenuta per il miracolo della beatificazione. È necessario che tutto venga fatto con la riservatezza e la calma necessarie. Solo alla fine, quando l'accertamento è stato compiuto, è opportuno parlarne. Occorre evitare che i medici e i periti subiscano qualsiasi tipo di condizionamento.

Qual è l'esempio particolare di santità che Giovanni Paolo II ha lasciato alla Chiesa e alla società contemporanea?

Ha lasciato essenzialmente due atteggiamenti. Il primo è una grande fede nella presenza di Dio nella storia, perché l'incarnazione è efficace, vince il male: la grazia della presenza eucaristica del Signore supera tutte le barriere e i regimi antiumani. Karol Wojtyla ha vissuto i regimi nazista e comunista, e ha visto l'implosione e la distruzione di entrambi. Il secondo atteggiamento è il suo grande spirito missionario. I viaggi del Papa erano attività missionaria vera e propria. Raggiungeva i confini della terra per annunciare il Vangelo di Cristo. Lo considero un grande Pontefice missionario. E la Redemptoris missio è una straordinaria enciclica, ancora attuale.

Ha un ricordo personale di Giovanni Paolo II?

Aveva un grande senso dell'amicizia, del rispetto. Mi ha scelto come segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede. Sono stato ordinato vescovo da lui il 6 gennaio 2003: eravamo in dodici, gli ultimi a ricevere da Papa Wojtyla l'ordinazione episcopale. Lo incontravo ogni mese, da segretario della Dottrina della Fede, sollecitato dall'allora cardinale Ratzinger, che era il mio diretto superiore. E Giovanni Paolo II ascoltava a lungo, ascoltava sempre. L'ho conosciuto prima della mia nomina al dicastero, quando partecipavo alle consulte dei teologi su alcuni temi. Anche in queste riunioni la cosa che più mi colpiva era la sua capacità di ascolto. Noi parlavamo, lui ascoltava. E solo dopo, quando ci rivedevamo a pranzo, faceva le sue osservazioni. Era evidente la sua volontà di capire a fondo.

(©L'Osservatore Romano - 16 gennaio 2011)