mercoledì 5 gennaio 2011

L'Epifania nell'innografia di Romano il Melode


L'Epifania nell'innografia di Romano il Melode

Oggi Dio si lascia piegare dalla sua compassione


di Manuel Nin

Presente in tutte le tradizioni cristiane di oriente, l'Epifania è una festa liturgica che celebra la manifestazione del Verbo di Dio incarnato, in un contesto trinitario e cristologico. I testi liturgici del 6 gennaio riassumono i principali misteri della fede cristiana: quello trinitario, l'incarnazione del Verbo di Dio, la redenzione ricevuta nel battesimo. Evento, quest'ultimo, specialmente celebrato durante la liturgia della grande benedizione delle acque che ricorda e celebra il battesimo di Cristo e di ognuno dei fedeli cristiani.

I grandi innografi cristiani orientali hanno dedicato dei testi poetici alla contemplazione di questa celebrazione: Efrem (+373), Romano il Melode (+555), Sofronio di Gerusalemme (+638), Germano di Costantinopoli (+733), Andrea di Creta (+740), Giovanni Damasceno (+750), Giuseppe l'Innografo (ix secolo). Sono testi dove sono messi in evidenza lo stupore e la meraviglia del Battista e di tutta la creazione - gli angeli, il firmamento, le acque del Giordano - di fronte alla manifestazione umile del Verbo di Dio incarnato che si avvia a ricevere il battesimo da Giovanni.

Romano il Melode, nei suoi due kontàkia - poemi che per intero o in parte entreranno nell'uso liturgico delle Chiese bizantine - per la festa dell'Epifania mette in risalto alcuni aspetti teologici importanti. In primo luogo Romano accosta diverse volte la nudità di Adamo e del genere umano con il battesimo e il vestito nuovo lì indossato, vestito che è Cristo stesso: "Perciò noi, nudi figli di Adamo, riuniamoci tutti, rivestiamoci di lui per ricevere il suo calore! Riparo per i nudi e luce per quanti sono al buio tu sei venuto, sei apparso, luce inaccessibile".

Molto spesso per via di contrasto, l'innografo insiste sul fatto che la nudità di Adamo disubbidiente porta Dio, per poterlo salvare e per poterci salvare, a spogliarsi e farsi uomo, spogliato come Adamo: "Dio, con la sua santa voce chiamò il disubbidiente: Dove sei, Adamo? Voglio vederti! Anche se nudo sei, anche se povero sei, non avere vergogna, perché io mi sono fatto simile a te. Tu che volevi diventare Dio non ci sei riuscito: io invece mi sono fatto carne".

L'incarnazione del Verbo di Dio è paragonata da Romano a un grande abbraccio in cui Dio elargisce all'uomo la sua misericordia, con un retroterra molto chiaro della parabola del figlio prodigo: "Dalla mia compassione mi sono lasciato piegare, misericordioso quale sono, e mi sono avvicinato a ciò che ho plasmato, tendendo le mani per abbracciarti. Non provare vergogna dinanzi a me: per te che sei nudo io mi denudo e mi battezzo". L'autore quindi accosta la nudità dell'uomo all'incarnazione di Cristo vista come denudarsi e farsi uno di noi, con un gioco di parole tra il denudarsi dell'incarnazione e il denudarsi per il battesimo.

In diverse delle strofe del primo kontàkion, Romano fa parlare in forma dialogica Cristo e Giovanni Battista, come se fosse un dialogo in prosecuzione di quello della pericope evangelica del battesimo di Cristo nel Giordano. Da parte di Giovanni c'è lo stupore e la paura, mentre che da parte di Cristo c'è la forza e l'incoraggiamento: "Giovanni fu sconvolto dalla paura e disse: Fermati, o Salvatore, e non insistere: a me basta essere stato considerato degno di vederti! Che cosa richiedi a un uomo, tu, amico del genere umano? Perché chini il tuo capo sotto questa mia mano? Essa non è abituata a reggere il fuoco! Tu vieni da me, ma il cielo e la terra guardano se compirò l'atto temerario".

E Cristo risponde al Battista, il Precursore (pròdromos): "Tu hai un incarico da assolvere per me. Una volta ho mandato Gabriele e ha svolto bene il suo compito per la tua nascita: manda anche tu la tua mano come un angelo, per battezzare. Prestami soltanto la destra! Battezzami e attendi in silenzio ciò che avverrà". Il battesimo di Cristo è un dono dello Spirito a tutta la Chiesa affinché anch'essa diventi luogo di salvezza per i battezzati: "Io sto per aprire i cieli, far discendere lo Spirito e darlo in pegno. Battezzatore e contestatore, preparati non alla controversia ma al servizio! Io qui disegnerò per te la soave e splendente figura della Chiesa, accordando alla tua destra quel potere che poi attribuirò alle mani dei discepoli e dei sacerdoti".

In entrambi i kontàkia dell'Epifania, Romano accosta la nudità dopo il peccato di Adamo, spogliato dall'immagine di cui fu creato, alla nudità di Cristo incarnato e pronto a essere battezzato: "Giovanni contemplò con rispetto le membra ignude di colui che impone alle nuvole di avvolgere il cielo come un mantello, e vide in mezzo ai flutti colui che era apparso in mezzo ai tre fanciulli, la rugiada di fuoco".

Il Melode sviluppa ancora il tema e della nudità e della cecità di Adamo dopo il peccato, presentate come conseguenza della sua caduta: "Ad Adamo accecato nell'Eden è apparso un sole da Betlemme ed egli ha aperto le sue pupille, detergendole con le acque del Giordano. Quando Adamo per sua volontà perse la vista per aver assaggiato il frutto che rende ciechi, subito fu denudato: trovandolo cieco, colui che gli aveva tolto la vista lo privò dei vestiti. A tale vista colui che per natura è compassionevole si avvicinò a lui dicendo: Nudo ed accecato io ti accolgo".

Per Romano, quindi, l'incarnazione e il battesimo di Cristo sono realtà finalizzate a riportare e ricreare Adamo nella condizione di figlio: "Inneggia, inneggia a lui, o Adamo; adora colui che ti viene incontro! Mentre tu ti ritraevi, egli si è mostrato a te affinché tu potessi vederlo, toccarlo e riceverlo. Lui è sceso sulla terra per portarti lassù, è diventato mortale affinché tu potessi diventare dio e rivestirti della primitiva dignità, per riaprire l'Eden ha preso dimora a Nazaret".

Verso la fine del secondo dei suoi poemi, Romano riprende il tema del vestito bianco indossato dai battezzati, vestito intessuto dallo Spirito Santo nell'incarnazione del Verbo di Dio, divenuto agnello di Dio: "È stata ormai strappata la veste del lutto, abbiamo indossato l'abito bianco, intessuto per noi dallo Spirito col vello immacolato dell'Agnello e Dio nostro. Quale messaggio del Battista e quale mistero in esso! Chiama agnello il pastore, e non semplicemente agnello, ma agnello che libera dalle colpe".


Per il poeta le teofanie veterotestamentarie sono soltanto ombre, prefigurazioni della grande e piena teofania del Verbo di Dio nella sua incarnazione; esse si compiono pienamente nella nascita e nell'epifania del Logos divino, che diventa visibile agli occhi di tutti: "Quando Dio apparve ad Abramo si mostrò come un angelo. Ora invece è apparso a noi col suo vero aspetto, perché il Verbo si è fatto carne: allora l'oscurità, ora la chiarezza; ai padri le ombre, ai patriarchi le figure, ai figli invece la verità in persona! Colui che Ezechiele vide in forma umana su un carro di fuoco e Daniele come figlio d'uomo e antico di giorni, vecchio e giovane, proclamando solo Signore colui che è apparso e ha illuminato ogni cosa".

Una delle strofe, la prima del primo kontàkion sull'Epifania del Melode, è quella che è entrata nell'ufficiatura bizantina e che raccoglie tutta la teologia della festa: "Ti sei manifestato oggi al mondo, e la tua luce, o Signore, ha impresso il segno su di noi che, riconoscendoti, eleviamo a te il nostro inno: Sei venuto, sei apparso, luce inaccessibile".

(©L'Osservatore Romano - 6 gennaio 2011)