giovedì 20 gennaio 2011

Presso i monasteri orientali "La corda della preghiera" (Egidio Picucci)


Presso i monasteri orientali

La corda della preghiera
e il sogno dell'unità


di Egidio Picucci

Vagamente simile al rosario dei cattolici, la "corda della preghiera" è usata quasi solo dai monaci ortodossi. Chi ha visitato un loro monastero ha certamente visto un anziano monaco che, seduto su uno scalino di pietra, e spesso con un gatto che gli gira lentamente attorno, fa scorrere tra le dita la "corda" di sessanta o addirittura cento nodi, a testa bassa, le braccia abbandonate sulle ginocchia, muovendo leggermente le labbra incorniciate da una barba biblica. Attorno c'è il silenzio più assoluto, quel "Grande silenzio" filmato da Philip Gröning nel monastero certosino della Grande Chartreuse, sulle Alpi francesi, un film verità, che racconta la vita dei monaci con i suoi quotidiani e inalterabili avvicendamenti, tanto da sembrare come immersi nell'eterno.

La "corda" è fatta di nodi di lana o di cuoio (elementi che favoriscono una preghiera silenziosa) ed è di diverse lunghezze. La più antica, usata dai primi monaci in Egitto nel iv secolo, aveva da cento a trecento nodi; oggi ne ha comunemente trentatré (e allora si tiene al polso), cinquanta o cento. Il modello russo ne ha centotré (basato sull'antica "scala da preghiera", tuttora in uso tra gli ortodossi russi del rito antico), intercalati da grani di separazione che suddividono i nodi in quattro gruppi di diciassette, trentatré, quaranta e dodici, numeri che ricordano figure bibliche (Evangelisti, Apostoli, Profeti) o la vita di Cristo.

Il monaco o la monaca ricevono la "corda" durante il rito di ingresso al monastero perché ricordino fin dal primo giorno della vita monastica che il compito principale della loro vita è "pregare senza interruzione" (1 Tessalonicesi, 5, 17), un invito che l'Apostolo Paolo fa non solo ai monaci, ma a tutti i cristiani.

I Padri del monachesimo ortodosso hanno interpretato i passi del Nuovo Testamento che invitano a "pregare ogni momento" e "senza stancarsi", come le basi per acquisire e crescere nell'attitudine dell'ascolto profondo del Signore durante la giornata. San Basilio ha scritto: "Dobbiamo restare incessantemente sospesi al ricordo di Dio come i bambini verso le loro madri". Concetto entrato in quasi tutti i famosi apoftegmi dei Padri del deserto perché immancabile nei circa duemilatrecento loro "detti" e nascosto tra altre esortazioni, senza spiegazioni o commenti. Questo vuol dire che i monaci hanno accolto quell'invito nel senso letterale di una preghiera di ventiquattr'ore su ventiquattro. Impegno severo, anche se facilitato dalla separazione dal mondo (anacoreta, da anachôrein = ritirarsi).

L'uso della corda della preghiera è un enorme aiuto spirituale, che consente ai cristiani di mantenere l'attenzione nella pratica della preghiera, finché, come ci ha promesso il Signore (Giovanni, 7, 37), fiumi di acqua viva sgorgheranno entro di noi.

Un'altra pratica spesso seguita dai monaci (e descritta nei famosi "Racconti di un pellegrino russo") è la recita della Preghiera di Gesù, o preghiera del cuore, migliaia di volte al giorno, fino al momento in cui diviene attiva per conto proprio, lasciando il monaco in uno stato di preghiera continuo. La preghiera è semplice, ma densa di significato, perché è la sintesi di due invocazioni rivolte a Gesù: quella del cieco di Gerico (Luca, 18, 38) e quella del pubblicano al tempio (Luca, 28, 13). Dice così: "Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, abbi misericordia di me peccatore", e può essere recitata da più persone insieme o da soli, pregando per se stessi o per una persona cara. In tal caso non si usa la parola "peccatore" perché, come cristiani, ci è comandato di considerare solo i peccati personali e non quelli degli altri.

Gli aspetti personali e interiori di tale preghiera non sono mai separati dalla preghiera liturgica e dalla vita non più di quanto possano essere divisi la preghiera e il servizio, la contemplazione e l'azione. Anzi, essa si completa con l'altra, tanto che san Giovanni Crisostomo la chiama "la liturgia dopo la liturgia" e santa Marija Skobcova (monaca e martire, uccisa nel campo di concentramento di Ravensbrück) una "liturgia fuori dal tempio" perché estende l'ufficio e la divina liturgia a tutto il resto del giorno e della notte.

Acquisire la memoria Dei, il ricordo costante di Dio, richiede molta determinazione, al punto che Dimitrij di Rostov ha scritto: "Molti non sanno nulla del travaglio interiore necessario a chi voglia possedere il ricordo di Dio". La "preghiera del cuore", radicata nel Nuovo Testamento, fu assunta da una corrente propria della spiritualità orientale antica chiamata esicasmo, dal greco hesychìa, che significa calma, pace, tranquillità, assenza di preoccupazione. Acquisirla non è facile, ma, secondo quanto dicono coloro che la praticano, col passare del tempo e con l'esercizio quotidiano fa sgorgare dal cuore una grande gioia, perché si avverte un intenso amore per Gesù e per tutte le creature.

In un documento del monastero di Iviron del Monte Athos, si legge: "L'esicasta è colui che solo parla a Dio solo e lo prega senza posa". Conforta pensare, soprattutto in questa Settimana di Preghiera per l'Unità dei cristiani, che dalle sabbie roventi del deserto egiziano alle steppe innevate della Russia, dai monasteri del Sinai e del Monte Athos a quelli delle città di ogni continente, la preghiera del cuore, nata tanti secoli fa da monaci che vivevano nella solitudine, esce dal cuore dei cristiani di tradizione orientale e occidentale, e può ottenere dallo Spirito che tutto può, il sospirato dono dell'unità.

(©L'Osservatore Romano - 20 gennaio 2011)