giovedì 6 gennaio 2011

L'Epifania di Prudenzio "Poesia di un triplice dono"


L'Epifania di Prudenzio

Poesia
di un triplice dono


di Inos Biffi

L'adorazione dei Magi e il loro triplice dono d'oriente. È il tema dei versi di Prudenzio assegnati all'ufficio delle letture nella festa dell'Epifania: dimetri giambici acatalettici, non particolarmente ispirati, ma chiari e lineari. Essi volgono in poesia il passo di Matteo (2, 11): "I Magi, entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra", illustrati nel loro significato arcano.

Alludono infatti al sorprendente mistero racchiuso in quel bambino, invitato dal poeta a riconoscere il senso inteso da quelle insegne: "Riconosci, o bambino, i segni della potenza e della regalità che il Padre tuo ti ha assegnato". E precisamente il prezioso tesoro dell'oro e l'odore fragrante dell'incenso ne simboleggiano la dignità regale e la divinità; mentre la polvere di mirra ne raffigura la mortalità e ne presagisce la sepoltura.

Quanto a Betlemme, si trova nobilitata e innalzata su tutte le città della Giudea, per il privilegio di aver dato i natali a Colui, che, disceso dal cielo e fattosi carne, è guida alla salvezza.
Per decisione del Creatore, in conformità con l'annuncio siglato dai Profeti, sarà lui - prosegue l'inno - a esercitare il giudizio e ad assumere il regno: "Un regno che si estende a tutto l'universo, da oriente a occidente, e comprende ciò che sta sopra i cieli o giace negli inferi".

Sentiamo nei versi di Prudenzio echeggiare diversi richiami e motivi scritturistici. Vi sono intessuti l'oracolo di Michea, "E tu, Betlemme, non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda" (5, 1-3); le promesse divine fatte al Messia: "Lo scettro del tuo potere stende il Signore (...) A te il principato nel giorno della tua potenza" (Salmi, 110 [109]); la sua esaltazione da parte di Dio, che "gli donò il nome che è al sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è Signore a gloria di Dio Padre" (Filippesi, 2, 9-11); l'implorazione per il re messianico: "O Dio, affida al figlio del re la sua giustizia" (Salmi, 72 [71], 1) o l'affermazione stessa di Gesù: "Il Padre ha dato ogni giudizio al Figlio" (Giovanni, 5, 22).

Il racconto della venuta dei sapienti d'oriente, attratti come primizie nella luce della stella, mentre rievoca le vicissitudini passate d'Israele, delinea, in anticipo profetico, la missione universale di Gesù, l'Israele nuovo, riconosciuto dalle nazioni ma rifiutato dalla sua gente. Nelle sue precoci tribolazioni si ripetono le vicissitudini dolorose del popolo ebraico oppresso in Egitto dal Faraone, ora riapparso nella figura di Erode che vanamente trama di uccidere il bambino.

Nella festa dell'Epifania, rievocando la venuta dei Magi che "si prostrarono e lo adorarono", la Chiesa rinnova la sua fede gioiosa in Gesù, Figlio di Dio, unico Salvatore del mondo e ne proclama la signoria. Tutta l'identità e la consistenza della Chiesa si risolvono e si raccolgono in questa assoluta adorazione. Nessun altro salvatore, che non sia l'identico Gesù incontrato a Betlemme da quei misteriosi scrutatori degli astri, riesce anche solo minimamente a incantarla o a distrarla. Al di fuori di lui, proclamato ogni giorno dalla medesima Chiesa come il suo "solo Signore", ci sono solo ingannevoli idoli, intenti a traviarla.

Anzi, essa stessa, la Chiesa, sa di brillare nel mondo come l'esclusiva e provvida stella che a tutti gli uomini rischiara la strada e si ferma dove si trova il bambino.